La testa della mamma del “diversamente abile” non riesce a fermarsi quando comincia a riflettere, similmente agli ingranaggi di un orologio i suoi pensieri girano per produrre la giusta energia ed avere le idee chiare e un minimo di equilibrio vitale.
I suoi non sono ingranaggi metallici che rispettano leggi fisiche per un funzionamento preciso. Sono ingranaggi del cuore e dello spirito forgiati nei minimi particolari dalle esperienze, dagli incontri positivi e negativi della vita.
La forza che dà moto a questi ingranaggi è comunque regolata da bilanciamenti emotivi che non facciano disperdere la sua energia. E’ questo circuito di ingranaggi umani che la spinge, costantemente, ad analizzare quella terminologia che suo malgrado è accostata a suo figlio e agli altri. Così come si interroghi sull’origine della parola “diverso”, con la medesima incredulità riflette sul significato di “abilità”.
Se l’abilità è quella capacità di diventare bravo in qualcosa grazie all’esperienza, allora ogni essere umano in questo senso è similare. Di fatto non siamo tutti abili nel fare le stesse cose e non abbiamo tutti la capacità di diventare abili in tutto, proprio perché ogni singolo essere umano ha predisposizioni e preferenze ad interessarsi a determinate attività piuttosto che ad altre. Quindi il valore che si dà alle abilità è soggettivo e personale, non può essere racchiuso in schemi di giudizio equivalenti.
Il vero danno alla società è che si tende ad omologare le abilità, tutti devono essere bravi a fare le stesse cose per ottimizzare i tempi. E’ ovvio che in questo sistema non c’è spazio per coloro che hanno tempistiche più lunghe nell’abilitarsi.
Un esempio è proprio la scuola viene chiesto ai bambini fin da piccoli di restare seduti in classe per prestare attenzione, a livello educativo per avere anche l’ambiente più idoneo a fornirgli le nozioni nei tempi previsti dai programmi. Non si pensa alle energie (sprecate), che gli stessi bambini impegnano nel fare ciò, in un bambino magico dovrebbe essere valutata anche la sua capacità di diventare abile nel rispettare questa regola e lo sforzo cognitivo che richiede appunto questa “abilità”. Non tutte le scuole prevedono un dinamismo e una metodica che rispetti il singolo per cui se siamo educati(omologati) a questo modo di agire già fra i banchi di scuola figuriamoci se nel crescere sarà previsto essere compresivi e pazienti con chi ha difficoltà.
La discriminazione e l’incapacità di inclusione partono tutte dalle rigidità mentali che si forniscono già, solamente, con il senso delle parole. Se quella persona, quel bambino, quel ragazzo non è “abile” come me a fare determinate cose allora è “diverso” da me.
Il peso che si dà alle parole si rispecchia nelle azioni e questo la mamma del “diversamente abile” lo percepisce proprio grazie a quegli ingranaggi della mente che non si fermano mai.
Quello che si può cominciare a diffondere è proprio la volontà di riflettere sulle sfumature che ogni parola può avere e creare quel sano movimento linguistico che può mutare le prospettive.
-Io sono “abile” a restare seduto, ma è “abile” anche quel ragazzo sulla sedia a rotelle, forse più di me perché io non sarei mai” abile” come lui a restare fermo per tutta la vita.
In queste “abilità” riequilibrate allora non ci sarà disuguaglianza o pietismo ma consapevolezza di un impegno che tutti mettiamo in ciò che facciamo.
L’impegno più importante sarà mutare la prospettiva delle cose e dare nuovo senso alle parole che usiamo.
Colomba Belforte