LA POSTA DELLA PSICOLOGA: RAGGIUNGERE OBIETTIVI E NON SENTIRSI APPAGATI, PERCHE’?

Capita piuttosto spesso che ci vengano richiesti suggerimenti o consigli relativamente a tematiche specifiche, al di fuori dello  spazio consulenziale. Alcune di queste domande toccano argomenti di interesse ad ampio raggio, così abbiamo pensato di rispondere ad esse. Potete porcele scrivendoci in privato alla pagina Facebook dello studio (Studio Psicologico Romano-Di Maio) oppure ai numeri sotto indicati. Buona lettura!

Gentili Dottoresse, sono una donna di 30 anni e vi scrivo perché non riesco a rendermi conto se quello che mi accade rientra nella normalità o meno: sono sempre stata molto ambiziosa e con un forte senso del dovere, cosa che mi ha consentito di raggiungere traguardi, prima scolastici e accademici, poi lavorativi, con ottimi risultati e in tempi minimi. Eppure, è come se non riuscissi a gioire fino in fondo di ciò che sto costruendo: raggiungo un obiettivo e, neanche il tempo di goderne, “alzo subito l’asticella”. Insomma, è come se non fosse mai abbastanza quello che faccio. Perché mi accade questo?

Cara lettrice, una premessa è doverosa: è possibile dare un significato alle manifestazioni psicologiche, siano esse vissuti emotivi, comportamenti, pensieri o sintomi, solamente calandole nella storia della singola persona. Dunque, senza una conoscenza approfondita e mirata, possibile attraverso il colloquio clinico, dobbiamo anticiparle che sarà difficile darle una risposta specifica per la sua situazione; certamente però qualche spunto di riflessione sul tema, in cui magari riesce a riconoscersi, possiamo rimandarglielo. Intanto c’è da tenere conto del fatto che, in quanto esseri sociali, siamo immersi in un contesto che, inevitabilmente, influisce sulle nostre “spinte”. Riferisce della sensazione di non potersi mai considerare sufficientemente arrivata. Se si guarda intorno si renderà conto che non è la sola e la responsabilità di questo è anche in parte da attribuirsi alla società in cui viviamo: fortemente individualistica e competitiva, sempre pronta a “sfornare” modelli connotati da un forte potere di autoaffermazione. Pensiamo anche ai percorsi di studio che si fanno sempre più specializzati, per cui o punti a diventare il luminare del settore o rischi di essere uno dei tanti laureati che del pezzo di carta in tasca hanno ben poco da farsene. Tuttavia le dinamiche della società spiegano in parte ma non giustificano del tutto determinate condotte, altrimenti dovremmo tutti, indistintamente, subirne i movimenti. Invece il contesto incontra la persona, con il suo temperamento e il suo percorso individuale e familiare. Pensiamo a quanto possa fare la differenza venire al mondo con un temperamento attivo, che induce l’altro a stimolarci e spronarci, piuttosto che con un forte senso di timidezza, che invece spinge gli adulti a preservarci e a non caricarci troppo (nella migliore delle ipotesi!). Immaginiamo anche quali aspettative, da parte di genitori e insegnanti, possano aver gravato su di noi se ci siamo distinti per l’impegno e per qualche spiccata abilità o talento in ambito scolastico: sentir dire di noi “E’ brava, da lei ci aspettiamo molto!”, è certamente una gratificazione ma anche un macigno se ci instilla  la paura di sbagliare e di deludere gli altri. Oppure consideriamo anche, in un modo di fare educativo molto incentrato sul rimprovero in caso di errore e non sull’elogio quando si fa bene, quanto sia alto il rischio di fare propria l’idea che non è sufficiente quello che già si fa per “essere visti” dall’altro. E allora ci tocca fare di più, e ancora di più. Il punto è che queste dinamiche relazionali esterne, quando reiterate, finiscono per diventare interne, innescando vere e proprie battaglie dentro di noi, fino a farci vestire i panni del giudice più severo di noi stessi, interferendo così con la nostra autostima e con ciò che sentiamo di dover fare per mantenerla alta. La spinta a fare del proprio meglio non va demonizzata: è quella che ci permette di affrontare con grinta la nostra vita, di non accontentarci ma di lottare per quello che sentiamo di meritare. Se però è accompagnata da malessere piuttosto che da appagamento, allora forse è il momento di fermarsi ad osservarla, per rintracciarne la storia e per “fare pace” con questa parte di noi che, se non riconosciuta e ben gestita, rischia di toglierci il piacevole sapore della soddisfazione.

 

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Dott.ssa Margherita Di Maio, psicologa-psicoterapeuta ad approccio umanistico e bioenergetico. Per info 331 7669068

Dott.ssa Anna Romano, psicologa-psicoterapeuta dell’età evolutiva. Per info 349 6538043