di Raffaele Lauro*
Prima di tessere un pubblico “elogio” del premier Giuseppe Conte, compito estremamente arduo per la complessità degli elementi in gioco, tra passato (dalle elezioni politiche del 2018 allo scoppio della pandemia da Covid – 19), presente (dal febbraio al giugno 2020, fase 1, fase 2 e fase 3) e futuro (gli incerti accadimenti per la ripresa autunnale e per gli sviluppi economico-sociali 2021/2022), un elogio più volte rinviato, a causa del profluvio quotidiano di pronunce autoreferenziali, tuttavia non più rinviabile, vanno date delle “assurances”, meglio rassicurazioni, a due categorie di soggetti, diffusi tra i cittadini, gli organi di stampa, gli esponenti sindacali, i rappresentanti di categoria, i commentatori politici, le partigianerie sul web e sui social.
Questi soggetti si pongono, con un pregiudizio, in positivo o in negativo, nei confronti di questo personaggio, non più un marziano, il quale rappresenta ormai un’assoluta novità nel panorama politico, italiano ed europeo.
Da un lato, i sostenitori fideistici, i cosiddetti “contiani”, laudatores che ne alimentano il gradimento nei sondaggi e ne esaltano acriticamente le gesta. Dall’altro lato, in contrapposizione, i denigratori seriali, i cosiddetti “anticontiani”, blatte fischianti che lo ricoprono di insulti, di ironie e di cattiverie. Una novità questa, una baruffa tra esagitati, che ormai divide un paese in crisi di prospettive, con la quale, comunque, bisogna fare realisticamente i conti per cercare di capire dove andremo a sbattere. I primi, i contiani, prescindono, completamente, dalla realtà delle dimostrate responsabilità, sulle quali, presto o tardi, il premier sarà chiamato a rispondere (il trasformismo politico di guidare due governi contrapposti nei programmi, di cui ha condiviso e firmato provvedimenti “aberranti”; il ritardo di 40 giorni nell’affrontare la pandemia con le migliaia di morti incolpevoli, arrivati quasi a 34.000; le rassicurazioni iniziali, molto superficiali; le facili promesse di provvedimenti economici immediati, mai pervenuti; i pasticci legislativi; le anarchie; la proliferazione di commissioni e commissari, incompetenti e linguacciuti; l’assenza di un discorso di verità rivolto al paese, per tacer d’altro). I secondi, gli anticontiani, prescindono anch’essi, completamente, dalle responsabilità di sistema, che non possono essere caricate sulle spalle del premier, eleggendolo a capro espiatorio di tutti i mali, delle quali, presto o tardi, dovrà rispondere l’intera classe politica, che lo ha preceduto nell’esercizio del potere, il centro sinistra e il centro destra (le mancate riforme, costituzionali e istituzionali; l’articolazione regionale fuori controllo e non ben definita; un’incompleta e inefficace digitalizzazione della pubblica amministrazione; una burocrazia ottocentesca; una normativa fiscale esosa per gli onesti e tollerante verso i disonesti, con il seguito di condoni ed evasione fiscale; un ordinamento scolastico inidoneo all’evoluzione e soggetto a continui, nonché contraddittori, rimaneggiamenti, per tacer d’altro).
“ELOGIO” DEL PREMIER CONTE: IERI RE TRAVICELLO, POI RE LEONE, OGGI NOVELLO PRINCIPE DI MACHIAVELLI
Elogiare il premier Conte per la rapida ascesa ai vertici delle istituzioni e per il sorprendente, quanto imprevedibile, consolidamento della posizione istituzionale, al centro del sistema politico nazionale, non significa aver attenuato un giudizio di inadeguatezza della personalità in questione nella gestione di una crisi senza precedenti, quanto, piuttosto, si tratta di prendere atto di un’evidenza, di un fatto. Costituiscono fatti incontrovertibili, infatti, non una benevola concessione, le tappe della sua inarrestabile scalata al potere: da professore universitario, la cui carriera accademica è stata costellata di polemiche, come la stessa attività professionale di civilista, a candidato, per ragioni ancora ignote, alla presidenza del Consiglio dei Ministri da parte del M5S, movimento uscito vincitore dalle elezioni politiche del 2018; da premier di un governo M5S-Lega Nord, cioè di due forze politiche agli antipodi elettorali e programmatici, a premier di un governo M5S-Partito Democratico, cioè di due forze politiche altrettanto agli antipodi elettorali e programmatici; da dispensatore di una valanga di nomine pubbliche a punto di riferimento antisovranista degli alleati europei; da gestore di una pandemia senza precedenti a promotore di riforme strutturali, accordi, piani e patti, attraverso addirittura una convocazione degli Stati Generali dell’economia, con buona pace di Luigi XVI di Francia, un tragico precedente per la ripresa dell’azienda Italia. Inossidabile a qualsiasi critica, consiglio o suggerimento, Conte è riuscito abilmente a sminare il suo trionfale cammino da tutti gli incidenti di percorso: il protagonismo e le dimissioni di Salvini; la legge di bilancio 2020 e il rischio degli aumenti IVA; le sconfitte elettorali del M5S alle elezioni europee e alle regionali; il defenestramento di Luigi Di Maio da capo politico dei grillini; lo scoppio dell’epidemia e le false rassicurazioni; le promesse di tempestività mai mantenute; gli scontri sotterranei con il PD governista di Dario Franceschini; le scivolate dei suoi ministri, in primis, del ministro della Giustizia e del ministro dell’Istruzione. Ha marciato in avanti, pur senza conseguire risultati apprezzabili, mediazione dopo mediazione, conferenza (a reti unificate) dopo conferenza, summit diurni e summit notturni, aperture strumentali alle opposizioni e successive chiusure, gioco delle tre carte con Matteo Renzi e ridicolizzazione del finto antagonista, arzigogoli verbali e autocelebrazioni, senza mai pronunziare un vero discorso di verità al paese. Così, in un crescendo rossiniano di sondaggi favorevoli, nonostante l’amarezza, la delusione e la rabbia sociale dilaganti nel paese, il premier Conte, autoconsacratosi “Avvocato del Popolo” e reincarnazione di Winston Churchill, si è trasformato da Re Travicello in Re Leone, da innocuo “burattino” nelle mani dei suoi referenti (la congrega Grillo, Casaleggio, Bonafede e Di Maio) a temibile “burattinaio” degli stessi, nonché di tutti i ministri, dei partiti di maggioranza e, persino, di quelli dell’opposizione. Un’impresa epica questa, mai riuscita a nessun predecessore della prima o della seconda repubblica, neppure alle volpi più astute della Democrazia Cristiana: da Amintore Fanfani a Giulio Andreotti. Oggi il premier, in controluce, sembra assumere le fattezze di un nuovo principe di Machiavelli, di cui rinverdisce, quotidianamente, attualizzandole al tempo presente, le “virtù” che gli hanno consentito di annichilire alleati e avversari politici.
LE “VIRTÙ” CHE GLI HANNO CONSENTITO DI ANNICHILIRE ALLEATI E AVVERSARI POLITICI
In Machiavelli, un principe è virtuoso quando riesce a cogliere, ai propri fini politici, l’occasione che la “fortuna” gli offre, un’occasione in genere non ripetibile. Conte si è dimostrato capace di interpretare al meglio questa virtù del principe: infatti, proiettato, di colpo, da un ambito provinciale a uno scenario nazionale e internazionale, si è liberato progressivamente, senza mai proclamarlo e con i modi felpati del suo stile, dei suoi mentori delle origini e ha colto in pieno l’occasione che la fortuna gli ha offerto. Da neofita della politica, quindi, si è rivelato ben presto un navigatore molto esperto, acquisendo progressivamente la piena consapevolezza della propria insostituibilità, avendo colmato un vuoto di leadership, generato dalla crisi in atto della politica e dalla debolezza irreversibile dei propri alleati e degli stessi avversari politici. A questa principale virtù, ha aggiunto altre capacità non secondarie e non comuni: sfruttare cinicamente il terrore dei parlamentari in carica, non soltanto grillini, ma di tutti i gruppi parlamentari, di dover ritornare alle urne; mostrarsi disponibile a qualsiasi confronto con l’opposizione, specie dopo i richiami del Capo dello Stato, salvo assumere subito dopo decisioni difformi e non concordate, persino con la maggioranza (ad esempio, la convocazione estemporanea degli Stati Generali, ignota al PD e ai suoi ministri, quasi si trattasse di un’assemblea di condominio); contribuire a seminare zizzanie in un centro destra, già di suo litigioso e conflittuale, con gli elogi sperticati all’epopea storica di Silvio Berlusconi; far trapelare artatamente la volontà di organizzare un partito personale, in grado di raccogliere almeno il 15% dei voti espressi, e di volersi presentare, come candidato, in un’elezione parziale, al Senato, per conseguire una piena legittimazione politica e misurare il livello della popolarità acquisita; rintuzzare puntigliosamente tutte le critiche al suo operato, come quella rivolta con sprezzo al neo presidente di Confindustria, utilizzando l’argomento dell’evasione fiscale, sempre di facile presa; moltiplicare i centri decisionali e alimentare i conflitti con le regioni, con l’intento di rovesciare sugli altri le sue responsabilità. Il capolavoro dei capolavori di Conte, tuttavia, è rappresentato proprio dal metodo del “rilancio continuo”, un fare ponte dopo ponte: le insufficienze del decreto-economico di marzo da correggere con quello di aprile; quelle del decreto economico di aprile dal decreto di maggio, senza mai un bilancio veritiero, un punto reale e approfondito della situazione. Finita la litania dei decreti è iniziata quelle delle riforme, il grande cambiamento del nostro paese (Olé!): la riforma della burocrazia, lo sblocco dei cantieri, la semplificazione, la digitalizzazione, la deburocratizzazione, un fisco più equo e solidale.
Le risorse finanziarie? Nessun problema: le aste dei titoli di Stato vanno a ruba; la BCE è di nuovo all’opera con il QE; il Recovery Fund è prossimo al traguardo; al MES non si può rinunziare; non sarà necessario un prelievo forzoso sui risparmi degli italiani. Promesse, poi si vedrà! Con queste tattiche, Conte ha ridotto, nel governo, a semplici gregari Luigi De Maio, Dario Franceschini, Roberto Gualtieri e Roberto Speranza. E ha chiuso nel sacco dell’impotenza e, persino, del ridicolo: il M5S, dilaniato al suo interno su tutto; il PD, immerso con Nicola Zingaretti in una sorta di letargo politico primordiale; l’IV, paralizzata dai contorsionismi e delle false intemerate di Matteo Renzi; la Lega, in ambasce per la caduta di popolarità e per la mancanza di strategia di Matteo Salvini, assediato dalla concorrenza pressante di Giorgia Meloni e dall’appeasement filocontiano di Silvio Berlusconi, pronto sempre a trattare anche con il diavolo, pur di salvare le terga alle sue aziende. Insomma, i partiti della maggioranza e dell’opposizione, in frantumi! Un bel risultato, che fa dichiarare a Conte, a ben ragione, non di sentirsi accerchiato, tantomeno di temere la caduta del suo governo. Mago, prestigiatore, illusionista o equilibrista che sia, i fatti, per ora, gli sono propizi e gli consentono di rilanciare la sfida a tutti con gli Stati Generali dell’economia, sfida fondata su un’implicita minaccia. Una raffinata trappola: chi non partecipa e non propone, non avrà più credibilità e diventerà il nuovo colpevole di turno, sul quale si rovescerà l’anatema di Conte.
LE AMBIZIONI FUTURE, CON UN NEMICO IMPLACABILE: IL FATTORE TEMPO
Qualche commentatore ha scomodato lo scrittore francese Louis-Ferdinand Céline per sottolineare come la stella polare che orienta le presenti e future ambizioni politiche di Conte sia la vanità, una vanità patologica. Per la verità, Céline giudica la vanità, e non l’etica della responsabilità e lo spirito di servizio alla comunità, il vero motore che muove chiunque si proponga nella vita pubblica e lotti, in politica, per rimanere sempre a galla. Anche le future fortune politiche del premier (si “ciacola” addirittura del Quirinale, come successore di Mattarella!), come tutte le umane aspirazioni, sono subordinate a una serie di fattori, allo stato imponderabili e imprevedibili. In primis, un nemico implacabile: il fattore tempo. Solo il tempo farà giustizia delle promesse fatte, a partire dalla soluzione della crisi economica e sociale. Se questa maledetta crisi, che sta lacerando il senso di appartenenza alla comunità nazionale e lo stesso tessuto sociale, non troverà a breve uno sbocco e non si delineerà una prospettiva positiva per il futuro, anche l’abilità del premier di rilanciare, ponti su ponti, costruiti su aspettative e ulteriori attese, non basterà a garantirgli le ambite prospettive future di potere, come è avvenuto, in passato, per altri outsider della politica. La morte improvvisa del padre, Papa Alessandro VI, e l’elezione al soglio pontificio di Giulio II della Rovere, una casata cardinalizia acerrima nemica dei Borgia, mise definitivamente fine alle ambizioni di Cesare Borgia, il duca Valentino, il pur “virtuoso” principe di Niccolò Machiavelli! Vanitas vanitatum et omnia vanitas (Ecclesiaste)!
* Scrittore, saggista, prefetto e senatore della Repubblica (www.raffaelelauro.it)