Le metamorfosi del nostro tempo.

L’ oggetto della rubrica di oggi è l’essenza di questo momento storico: la metamorfosi ovvero la trasformazione. Ci siamo molto interrogate su quale fosse l’argomento principe del momento su cui portare l’attenzioni del lettore, a cui dedicare qualche riga di riflessione. Il periodo è delicato ed incerto, qualunque tema fa rima con “pandemia”, che si parli della scuola, della salute (fisica e mentale) o che si vada a scomodare ciò che accade dentro e fuori dai nostri confini. Dagli incendi dolosi ai ragazzini massacrati di botte, in entrambi i casi sappiamo bene che nulla di tutto ciò accade troppo lontano da noi. I sentimenti che colorano questo periodo sono soprattutto paura e rabbia. La leggiamo dai giornali, la percepiamo per strada sul volto di chi ci guarda con sospetto o nel gesto superficiale di chi ancora ci tende la mano per salutarci. Due facce della stessa medaglia!

Inizierà la scuola il 24 settembre?  Stessa classe, più classi? Stesse insegnati o nuove? Tampone sì, tampone no. Il vaccino? Le elezioni? Che non ci siano risposte certe, quantomeno a queste domande, è l’unica cosa che conosciamo davvero e questo non può non smuovere i suddetti sentimenti di paura e rabbia. Come gestire l’incertezza, il costante cambiamento nel cambiamento? Imparando ad oscillare. Lo sanno bene i motociclisti che accompagnano con il corpo l’ondeggiare del mezzo sul manto stradale, che sfiorano l’asfalto a tal punto da farci tirare il fiato, ma sanno che solo così possono  restare in pista, a cavallo del motore. Sanno bene che a contrastare il movimento si perde il controllo. Ce lo insegna la natura nel curvarsi delle canne di bambù, così flessibili da resistere al vento più impetuoso. Ogni volta che imponiamo al nostro corpo di subire anziché accogliere, l’organismo subisce una mortificazione, una ferita che da qualche parte viene espressa; attraverso una somatizzazione del corpo o riversata nello specchio della relazione con l’altro che diventa, perciò, il nemico. Rabbia, paura, dolore hanno già la loro via d’uscita: la voce, il pianto. Qualche anno fa il celebre Vasco Rossi cantava “ho fatto un patto con le mie emozioni, io le lascio vivere e loro non mi fanno fuori”. La strada da percorrere è incerta e lo è sempre da sempre, anche se in questo periodo sembra un po’ più dura. E’ questo il momento di concentraci su ciò che dentro di noi è vivo. Proviamo a non mortificarlo, esprimiamo la rabbia prima che ci torturi dall’interno o che saboti le nostre relazioni, il lavoro, la salute. Lasciamo libere le lacrime di pulirci il viso, di carezzarci la pelle, di consolarci. Proviamo ad avere il coraggio di sentire la paura.

 

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