Arriva la pubertà. La solitudine dentro e tutto il mondo fuori

Con l’autunno, se pur tardiva, è arrivata la pioggia, goccia dopo goccia scende e bagna tutto ciò che trova lungo il suo movimento lineare. Può essere una pioggia lieve e costante ma d’improvviso può anche diventare una “bomba d’acqua” che stravolge tutto. Se ora fissiamo questa immagine, cosi concreta e tangibile, nella nostra mente riusciamo forse a capire cosa prova un “figlio magico” quando raggiunge la pubertà. Il cuore batte più forte come tuoni fra le nuvole e i fulmini arrivano come scosse nel suo corpo e nella sua anima. Non è facile per la mamma “del diversamente abile” comprendere questa irrequietezza, che spesso si manifesta con rabbia, una rabbia forte e impetuosa, diversa da quella dei suoi coetanei, perché si cela dietro un silenzio non cercato, si nutre di sentimenti  e sensazioni che “un figlio magico” non ha la capacità cognitiva di  interiorizzare e tanto meno controllare. “Un figlio magico“ non riesce a comunicare un dolore fisico, figuriamoci  se può spigare lo scombussolamento che prova e allora la maggior parte degli schemi quotidiani, sperimentati fino a questo momento saltano, come quel fulmine che fa saltare la corrente dopo un sussulto. Poi la corrente torna e tutto deve per necessità ricominciare a funzionare.

La mamma “del diversamente abile” deve ancora una volta affrontare un’evoluzione e anche raccogliere nel palmo della mano (in cui già in precedenza aveva raccolto le sue lacrime) , la tristezza e la melanconia di suo figlio che vive il confronto con i coetanei, spesso in maniere drammatica.

Nella crescita di un “figlio magico” fondamentale è il ruolo della scuola. Essa fin dall’infanzia è fulcro per l’incontro con gli altri e con il supporto degli insegnanti, che si fanno mediatori, riesce a donare  qualche ora giornaliera  di normalità (sempre lottando per l’inclusione).

La pubertà arriva quando si frequentano le secondarie e le ore scolastiche non bastano più, anche “i figli magici” desiderano stare con gli amici, vorrebbero ricevere telefona, inviti ad uscire, passare i pomeriggi a fare i compiti insieme e a chiacchierare, senza insegnanti e soprattutto senza genitori. L’amico diventa  la priorità e poiché i momenti di condivisione sono pochi, arriva la solitudine. La mamma “del diversamente abile” percepisce questa solitudine sente  che suo figlio non riesce a spiegarsi, ma è cosciente e capace di confrontarsi , sa che suo figlio comincia a sentire sulla sua pelle la “ diversità”  perciò soffre  e si ribella , rifiuta e nega. Per il cuore della mamma “del diversamente abile“ questo è un ennesimo momento di dolori atroci a causa di quel senso di impotenza: non è facile capire come agire, non ci sono colpe dei coetanei, loro stanno crescendo e non sono più gli amichetti delle elementari, per loro esistono nuove dinamiche e altre gerarchie, forse stare con suo figlio è percepita come una perdita di tempo . Lei non li può biasimare anche se prova rammarico per questo. Cerca di trovare soluzioni ma il divario è vasto, c’è una totale mancanza di cultura dell’accoglienza da più strati sociali. E’ questo il momento in cui comincia ad intravedere quanto la società intorno non sarà capace di accogliere suo figlio; lucidamente si rende conto che in un mondo di competizione e perfezione non sarà previsto un posto per esseri speciali come suo figlio, comincia a sentire ancora più forte l’assenza e il totale menefreghismo delle istituzioni, dunque si scontrerà  con il nichilismo  più totale  per la mancanza di momenti di sensibilizzazione o  coesione.   La mamma “del diversamente abile “ allora intravederà  l’isolamento delle famiglie come la sua , custodi di esseri unici, a cui basterebbe sentirsi solo accolti  e si aggrapperà con tutte le sue forze alla speranza!

Colomba Belforte

Exit mobile version