Una delle domande più scomode che può essere rivolta a un genitore è se c’è un figlio che preferisce rispetto agli altri. Pochi sono disposti ad ammetterlo, molto più spesso ci si nasconde dietro l’affermazione “i figli sono tutti uguali”. Probabilmente il problema sorge poiché si interpreta la preferenza come un volere più bene ad un figlio piuttosto che all’altro. Giustissimo provare a volere del bene a tutti i figli nella stessa misura e cercare di dimostrarglielo, onde evitare che qualcuno possa risentirsi o percepirsi come messo in secondo piano, ma è importante anche riconoscere che i figli potrebbero non essere amati nella stessa maniera poiché non sono tutti uguali, così come non si è la stessa madre o lo stesso padre con ciascun figlio: ognuno di questi si inserisce in uno specifico pezzo di vita del genitore. Inoltre, ogni figlio, a seconda delle caratteristiche di cui dispone o che gli proiettiamo, attiva specifiche parti di noi, vissuti, pensieri, sentimenti, che inevitabilmente connotano la relazione che costruiamo con lui. Anche il modo in cui ci si è sentiti trattati come figli fa parte del bagaglio che viene portato nel costruire il proprio ruolo genitoriale. Se ci siamo sentiti primogeniti precocemente responsabilizzati e trattati da grandi e se questo atteggiamento ci ha lasciato una piccola ferita emotiva, è probabile che empatizzeremo più facilmente con il primo figlio: ci siamo passati, sappiamo cosa significa. O, sul versante opposto e in continuità con quanto abbiamo vissuto, potremmo caricare questo figlio di maggiori aspettative, ripetendo lo scenario subìto. Più semplicemente il sesso di un figlio attiva diversamente i genitori, a seconda delle aspettative di quest’ultimo ma anche delle modalità relazionali specifiche che maschietto e femminuccia attivano rispetto alla madre e al padre. In una ricerca pubblicata nel 2016 sul Journal of Marriage Psicology, circa il 75% delle madri ammette di avere un prediletto e, in un’indagine di qualche anno prima, il 70% circa dei padri pure aveva confessato. Certo, con la garanzia dell’anonimato, è stato più facile sbilanciarsi! Tendenzialmente il “cocco di mamma e papà” è il figlio che narcisisticamente soddisfa maggiormente, perché ci assomiglia di più o perché dà meno problemi facendo così sentire i genitori adeguati nel loro ruolo; oppure il figlio percepito come più fragile e bisognoso di cura e protezione. Avere consapevolezza delle dinamiche che i figli ci attivano è molto importante, è il primo passo per interrogarsi su come ci comportiamo con loro e correggere eventuali effetti negativi dei nostri comportamenti, mettersi in discussione e aggiustare il tiro rispetto ad eventuali favoritismi che possono caricare i diretti interessati di elevate aspettative e incidere negativamente sull’autostima degli altri figli. Il problema non è avere preferenze, fanno parte del nostro essere umani e non vanno vissute con colpa, ma vanno adeguatamente gestite. Dunque, se un figlio accusa in questo senso, facciamo a lui delle domande per entrare nel suo punto di vista e poniamole anche a noi stessi, trasformando così una situazione potenzialmente imbarazzante in un’occasione per conoscersi meglio e migliorare la relazione. In generale, è bene evitare paragoni tra fratelli che potrebbero metterli in competizione: ognuno, piuttosto, va riconosciuto e lodato per i propri talenti e le proprie specificità.
Dott.ssa Margherita Di Maio, psicologa ad approccio umanistico e bioenergetico. Per info 331 7669068
Dott.ssa Anna Romano, psicologa-psicoterapeuta dell’età evolutiva. Per info 349 6538043