La mamma del “diversamente abile”, usando il termine che dovrebbe essere il più delicato, quello politicamente corretto, (ma che di fatto non cambia le cose) partorisce  due volte. Nessuno lo nota e nessuno ci pensa, eppure il secondo parto è più doloroso e non sempre coincide con il primo, con quello fisiologico. Una mamma “speciale” (altro termine dolce), una volta compreso che suo figlio non sarà come gli altri, agli occhi degli altri, deve abbandonare qualsiasi aspettativa proiettata su quel bambino, cadere prostrata a terra per le doglie del cuore e subito rialzarsi, perché il tempo è prezioso. Deve riequilibrare lo spirito e la mente all’istante e nel contempo elaborare anche un lutto: quel figlio donato, atteso e sognato è morto in un aborto spontaneo che porta il nome della patologia. Quella mano che accarezza il grembo   o   la vellutata nuca cambia la presa, muta la percezione tattile, passando tra la disperazione e l’accettazione, tra le lacrime e le preghiere. Un urlo soffocato rimane in gola e si risponde con un sorriso alienato a quelle domande che tutti fanno alle neomamme, domande che ora hanno perso il loro senso. La fine di questo travaglio si raggiunge con la consapevolezza di dover lottare come un Don Chisciotte contro i mulini al vento dell’indifferenza, del pietismo, della mancanza di servizi… dell’ignoranza. Poi arriva quel momento in cui si comprende a pieno che questa lotta sarà per tutta la vita, senza resa e senza reale tregua.  Si vivrà accampati nelle trincee della società, delle famiglie, delle terapie e delle istituzioni nell’attesa che il boato di quella bomba esplosa, si allontani con il tempo e diventi meno assordante. La mamma del “diversamente abile” dopo aver rassettato la sua anima e aver trovato un equilibrio apparente ricomincia ad essere “madre” per affrontare il quotidiano giorno per giorno, sempre in bilico sul bordo di quelle trincee. In alcuni giorni se ne sentirà fuori, in altri esse sembreranno ancora più profonde, ma troppe volte, in cuor suo, saprà che lei sarà l’unica a percepirne la drammatica presenza. Purtroppo, su quelle trincee alcuni innalzeranno anche barriere. Lei allora imparerà ad arrampicarsi o ad abbatterle con i pugni per amore di quel figlio che ha come gli altri il diritto di essere tale. Molti percepiranno la sua forza, altri proveranno pena, ad altri ancora darà fastidio soprattutto se comincerà ad usare il babele linguaggio della diversità ignorata, figlia abbandonata della solidarietà e cara sorella dell’uguaglianza. Lei quella “nuova mamma” non resterà più in silenzio, parlerà in tutti i modi possibili anche con la profondità di uno sguardo o ad occhi chiusi per amore di quel figlio.

Colomba Belforte

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