Dimmi perché piangi.

È una settimana esatta dall’inizio della primavera che si è manifestata, almeno in Penisola Sorrentina, con un vento gelido invece che con una brezza “trasporta acari”. C’è addirittura chi giura di aver avvistato pinguini al posto delle rondini! Ridiamoci sù che marzo è pazzo e noi rischiamo di fargli compagnia. Siamo sicuri che la risposta giusta sia sempre il sorriso? La natura ci insegna che è necessario l’inverno con le sue piogge per farci godere di una più feconda primavera, eppure sembra così complesso accettare questa ineluttabile verità nelle nostre vite: non esiste gioia senza dolore. E con questo non si intende il masochistico lamento, la lagna per ogni incongruenza della vita o il finto “afflittismo” in cui qualcuno spesso ama rintanarsi per crogiolarsi in un amabile compiacimento. No, cari lettori, ci riferiamo al dolore vero, quello che non amiamo mostrare, quello di cui ci vergogniamo e che ci fa, molte volte, indossare la maschera del comico o del cane rabbioso. Capita spesso infatti che, dietro parole troppo pungenti, battute fuori posto, toni troppo alti, gastriti incurabili, si celi un gran dolore a cui fatichiamo a dar voce nel modo giusto. Ma lo facciamo sempre, a partire da quello fisico. Eccovi servito un bell’esempio in cui ciascuno si può calare: è l’alba, suona la sveglia, ancora troppo assonnati rotolate giù dal letto impazienti perché se la staccate è la fine. I muscoli motori si mettono in moto in modo involontario poiché il centro di controllo è ancora sul cuscino, ed è così che automaticamente il mignolo del piede sbatte inesorabile contro l’angolo più duro del comodino. Vi chiedete come sia possibile che ad una velocità da bradipo, che è quella consentita al mattino, si possa sentire tanto dolore! State immaginando la scena? L’avete vissuta almeno una volta vero? Sentite il brivido lungo la schiena che vi ricorda quel sordo e amaro momento di pura sofferenza?! Bene, potremmo star qui a chiedere a chiunque, il novanta per cento risponderebbe che hanno fatto seguito alla sopracitata disfatta della falange, una caterva di imprecazioni che neanche ripetere il catechismo potrà assolvervi.

Chi afferma il contrario mente!

Questa bella dinamica la portiamo avanti anche con la nostra vita emotiva, eppure, la suddetta Madre Natura ci ha dotati di un sistema già bello e funzionante, capace di alleviare le nostre sofferenze quasi nell’immediato: le lacrime. Facciamo un passo indietro, cosa sono e a cosa servono. Esistono tre tipi di lacrimazione: principale, reattiva o di reazione e psichica. Le principali hanno lo scopo di tenere la cornea lubrificata ed impedire che l’occhio si secchi. Le seconde, quelle di reazione, ci aiutano a levare le irritazioni provenienti da particelle estranee. Infine le lacrime psichiche, quelle in risposta ad un dolore fisico o emotivo. Queste ultime hanno il potere di agire come antidolorifico poiché realmente ne contengono una molecola al loro interno. Un analgesico naturale dal nome impronunciabile: leucine enkephalin, probabilmente è grazie a questa piccola particella che ci sentiamo meglio dopo un bel pianto. E anche perché i polmoni si allargano, i muscoli si distendono e l’intero organismo ne giova. Il cervello, grazie ad un neurotrasmettitore chiamato acetilcolina, è in grado di controllare il nostro sistema lacrimale. Le reazioni emotive quindi, attivano il sistema nervoso che provoca, a sua volta, l’attivazione del pianto.

È proprio vero che dentro di noi abbiamo la gran parte delle risorse necessarie. È proprio vero che il concetto stesso di resilienza è in ognuno di noi. Ma allora, come mai ci fa così tanta fatica accogliere il pianto?

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