Economia, aumenta divario tra Mezzogiorno e Italia

L’Osservatorio Banche Imprese (OBI) ha pubblicato il Rapporto sulle previsioni 2017-2020 del valore aggiunto e dell’occupazione per tutte le province italiane e per i comuni del Mezzogiorno, basate su una versione aggiornata del modello TODOMUNDI© (TOp DOwn MUNicipal Domestic Indicators).
Le stime e le previsioni dell’OBI forniscono un quadro ricco di luci, ma anche di ombre (soprattutto per alcune zone e per taluni settori produttivi). Al di là di qualche temporaneo miglioramento, segnalato anche dalle ultime stime territoriali dell’Istat per il 2015, e di alcune punte di eccellenza, gran parte del Mezzogiorno continua infatti a perdere terreno rispetto alle altre macro-regioni. Si intravedono tuttavia alcuni segnali di ripresa soprattutto nei settori del TAC 3.0, rappresentato dal turismo (T), dalla filiera agro-alimentare (A) e da quella della cultura (C).

Di seguito i punti salienti del rapporto OBI sul valore aggiunto, edizione 2016.
• Da qui al 2020 continuerà ad allargarsi il divario economico tra il Mezzogiorno e il resto del Paese: nel Sud il Pil crescerà a ritmi dell’1% l’anno, contro una media nazionale di 1,5%, e l’occupazione solo dello 0,5%. Segnali di ripresa provengono soprattutto dai settori del TAC 3.0, rappresentati dal turismo (T), dalla filiera agro-alimentare (A) e da quella della cultura (C).
• In Italia le regioni complessivamente più dinamiche dovrebbero risultare il Lazio e le Marche (con una crescita media del Pil che sfiorerà il 2% annuo) e l’Emilia e Romagna (+1,7% l’anno). Nel Sud la regione più dinamica sarà probabilmente la Sardegna (+1,2% in media), mentre Basilicata e Molise viaggeranno a tassi di crescita inferiori all’1%.
• Le zone a maggiore sviluppo nei prossimi anni saranno concentrate sul Tirreno centrale (con una appendice nel Nord della Sardegna) e nel Piemonte meridionale. Altri nuclei di crescita, ma piuttosto isolati, potrebbero svilupparsi nel Nord Est e nella Sicilia meridionale.
• Probabilmente non recupereranno i ritmi di crescita pre-crisi alcune zone interne dell’Abruzzo e della Campania; la costa centro occidentale della Sardegna; la Sicilia centrale; alcune aree della Toscana e del Lazio meridionale; varie province del Nord-Ovest.
• Tra i maggiori comuni del Sud, nei prossimi anni dovrebbero registrare una crescita tra il 3% e il 5% l’anno: Avellino, Caserta, Ragusa, Palermo e Catania. Dovrebbero crescere oltre il 2% l’anno: Catanzaro, Crotone, Aversa, Taranto. Olbia, Sassari, Pescara. Il Pil potrebbe invece contrarsi (a ritmi compresi tra il -1,5% al .0,6% l’anno) in alcuni grandi centri della Sicilia (Bagheria, Trapani, Agrigento, Vittoria, Marsala).
• Si nutrono grandi speranze sulla nuova governance delle politiche territoriali.

Le macro-regioni
Per gli anni dal 2017 al 2020, l’OBI prevede per il Mezzogiorno una crescita del valore aggiunto positiva, ma modesta (+1% l’anno in media), inferiore di quasi il 40% rispetto alla media nazionale. Nelle altre grandi ripartizioni, invece, il tasso di crescita dovrebbe assestarsi tra l’1,4% del Nord Ovest e il 1,7% del Centro. Anche nei prossimi anni il divario tra Nord e Sud è destinato ad allargarsi, seppure a ritmi leggermente inferiori a quelli registrati prima e durante la crisi.
I progressi del Sud e nelle Isole dovrebbero concentrarsi essenzialmente nell’industria (+1,6% in media, presumibilmente con un picco nell’alimentare e nell’automotive, dopo il “ritorno” di FCA in alcuni siti del Sud), mentre tornerebbe ad essere tutto sommato modesto il contributo dell’agricoltura (+0,9%) e dei servizi (+1%), inoltre e rimarrebbero ancora poco dinamiche le costruzioni (0,4%), dalle quali ci si poteva invece aspettare almeno un recupero dopo il crollo subito nel corso della crisi. Nelle altre macro-aree, invece, la crescita dovrebbe risultare leggermente più omogenea tra industria, costruzioni e servizi, seguendo apparentemente il modello della crescita “equilibrata” più volte auspicato dall’OBI. In questo quadro, l’occupazione dovrebbe crescere attorno all’1% in tutte le ripartizioni, ad eccezione del Mezzogiorno, dove verrebbero creati solo lo 0,5% di posti in più ogni anno, nonostante gli incentivi contributivi comparativamente più generosi previsti dal governo. Nel complesso, il Sud dovrebbe registrare un aumento dell’occupazione superiore alla media nazionale solo nell’Industria.
L’OBI non si stancherà mai di ripetere che senza politiche adeguate il divario Nord-Sud è destinato a perpetuarsi, privando il Mezzogiorno di una opportunità di crescita e sottraendo all’intero paese risorse e mercati di sbocco. La bassa crescita del Paese e il progressivo ridimensionamento dell’economia meridionale non traggono infatti origine dalla Grande Recessione del 2007-2008, ma derivano piuttosto dal sostanziale abbandono delle politiche industriali a partire dagli anni novanta, in concomitanza con l’avvio del risanamento delle finanze pubbliche e l’abbandono delle svalutazioni competitive. Sono dunque necessarie nuove politiche e nuove risorse per rilanciare stabilmente il Mezzogiorno.
In particolare, l’OBI, continua a raccomandare politiche di sviluppo che puntino a valorizzare le specificità dei territori sostenendo il TAC 3.0 ed a rafforzare lo sviluppo, all’interno delle singole aree, di sistemi economici equilibrati (e inevitabilmente meno specializzati) in grado di resistere agli shock settoriali e di sfruttare le sinergie con i territori circostanti. La recente ripresa del settore agricolo e del turismo nel Mezzogiorno sembrano fornire un ulteriore supporto a questa tesi.
Il rinnovamento delle politiche territoriali, avviato dal governo, fa sperare che le nuove Agenzie e i nuovi strumenti di intervento, più agili e flessibili, riescano a spingere il Mezzogiorno (e il Paese) fuori dalla spirale regressiva in cui è intrappolato da troppi anni. Secondo l’Osservatorio, dunque, per riprendere un percorso di crescita sarà necessario un piano strutturato di politica industriale che detti temi e tempi, interventi e risorse per riprendere un percorso virtuoso di sviluppo e dia attuazione ai programmi con meccanismi efficaci di governance che coniughino le strategie di programmazione nazionale con le specificità territoriali. In altri termini, piano nazionale della logistica, Masterplan e patti per lo sviluppo dei territori, dovranno essere coniugati con politiche attente al superamento dei deficit strutturali del sistema produttivo sul piano delle dimensioni aziendali, delle capacità patrimoniali e finanziarie, delle dimensioni organizzative, tecnologiche, innovative, nonché sul piano dell’internazionalizzazione.

Le regioni
Nei prossimi anni, le regioni complessivamente più dinamiche dovrebbero risultare il Lazio e le Marche (con una crescita media che sfiorerà il 2% annuo) e l’Emilia e Romagna (+1,7% l’anno). Nel caso del Lazio, dovrebbero esse i servizi a dare il contributo più rilevante (+2% l’anno), mentre nelle Marche il principale driver sarà costituito dall’industria (+3,1%) e nell’Emilia e Romagna dalle costruzioni e dall’industria (+2,6% e +2,5% rispettivamente, anche a causa della ricostruzione dopo il terremoto). Questi tassi risulteranno inarrivabili nel Sud, dove la regione più dinamica sarà probabilmente la Sardegna (+1,2% in media) e ben due regioni (Basilicata e Molise) viaggeranno a tassi di crescita inferiori all’1%. In entrambe queste regioni sarà decisivo il calo delle costruzioni, che controbilancerà anche il buon andamento dell’agricoltura. Quest’ultimo comparto infatti dovrebbe registrare performance di tutto rilievo, in grado di trainare comunque il resto dell’economia regionale, in Basilicata (+3,5%) e in Calabria (+4,4%). E’ difficile considerare questa evidenza come una prova del successo del modello TAC 3.0, ma è certamente significativo che alcune aree del Sud beneficeranno nei prossimi anni proprio del risveglio di un settore dato più volte in declino.
In termini di occupazione, la migliore performance dei prossimi anni dovrebbe registrarsi nel Lazio (+1,4% in media l’anno in termini di ULA), soprattutto grazie al contributo dei servizi e delle costruzioni (anche se le previsioni dell’OBI non incorporano le opere per un’eventuale Olimpiade a Roma). Segue a breve distanza l’Umbria (+1,3% in media), che potrà contare su un buon andamento delle assunzioni nell’Industria e nei Servizi, anche se subirà probabilmente perdite significative nel settore agricolo. In quasi tutte le altre regioni l’occupazione complessiva dovrebbe crescere attorno all’1% o poco al di sotto, con alcune notevoli eccezioni negative, rappresentate dalla Valle d’Aosta, la Liguria e il Trentino (dove pesa il calo dell’agricoltura e la sostanziale stasi dei servizi); il Friuli Venezia Giulia (ancora con forti perdite in agricoltura); l’Abruzzo (dove sono in difficoltà costruzioni e servizi); la Basilicata, la Campania, la Puglia e la Sicilia (dove tira solo l’industria) e il Molise (sorretto solo dall’Agricoltura).
Nei prossimi anni, le regioni più performanti in termini produttività (e quindi anche di attrazione degli investimenti e di competitività), dovrebbero così risultare Valle d’Aosta, Emilia e Romagna e Marche (grazie soprattutto a forti guadagni nell’Industria valdostana e nei settori primario e secondario dell’Emilia e Romagna). Si potrebbero invece registrare una lieve perdita di produttività in Umbria (soprattutto nei servizi) e solo modestissimi progressi in Basilicata, Calabria e Molise.

Le province
Secondo le previsioni provinciali dell’OBI in molte aree del Paese, e non solo al Sud, la crescita della produzione non recupererà i ritmi precedenti alla crisi neanche entro il 2020. In alcune province del Mezzogiorno (soprattutto nelle Isole, nella Campania interna e in Abruzzo) la perdita oscillerà probabilmente tra i 5 e i 2 decimi di punto. La situazione sarà anche più drammatica sul fronte dell’occupazione, con almeno una quindicina di province, solo nel Mezzogiorno, dove la creazione di posti di lavoro procederà a ritmi significativamente inferiori a quelli pre-crisi. La lunga e profonda recessione appena superata ha infatti indebolito in modo irrimediabile il tessuto produttivo, rendendo permanente quella che, in altre condizioni, poteva essere solo una flessione transitoria da recuperare nel giro di qualche anno. La speranza è che proprio il ritardo accumulato favorisca ora il salto a tecnologie di ultima generazione, come la stampa 3D, le macchine in rete a controllo centralizzato, nuovi materiali e la logistica integrata, che potrebbero dare nuovo slancio al Sud.
Nel Meridione, il buon andamento dell’agricoltura, che ha favorito anche il recupero del 2015, si associa solo in alcune zone con uno sviluppo diffuso, che coinvolge anche industria e servizi. Tra queste aree si distinguono il nord della Campania, il Sud della Basilicata e la fascia ionica della Calabria. Altrove lo sviluppo sembra seguire altre strade, legate soprattutto allo sviluppo dei servizi (soprattutto quelli legati al turismo) e delle costruzioni. E’ questo il caso di gran parte della Sardegna (con l’eccezione del Cagliaritano), della Campania, della Puglia e della Sicilia occidentale. Rimangono ancora sostanzialmente isolati i nuclei dove l’industria in senso stretto segna progressi significativi, come nell’Abruzzo orientale e meridionale, nel centro della Campania, in alcune zone della Puglia (soprattutto ionica), della Calabria ionica, della Sicilia orientale e della Sardegna centro-meridionale.
Le zone a maggiore sviluppo nei prossimi anni saranno concentrate sul Tirreno centrale (con una appendice nel Nord della Sardegna) e nel Piemonte meridionale. Altri nuclei di crescita, ma piuttosto isolati, potrebbero svilupparsi nel Nord Est e nella Sicilia meridionale, tuttavia proprio il loro isolamento potrebbe frenarne le potenzialità in mancanza di una rete di infrastrutture efficiente.
Rispetto al periodo pre-crisi, gran parte del Mezzogiorno dovrebbe recuperare o superare i suoi (pur modesti) ritmi di crescita. Fanno eccezione alcune zone interne dell’Abruzzo e della Campania la costa centro occidentale della Sardegna e la Sicilia centrale. Molte zone del Centro, invece, stentano ancora a riprendere l’attività ai ritmi precedenti il 2008, particolarmente in Toscana e nel Lazio meridionale, e non mancano aree di difficoltà anche nell’Italia Nord Occidentale, tradizionale motore industriale del Paese.
Meno brillante dovrebbe risultare la dinamica occupazionale, con aree di criticità soprattutto in alcune province insulari, nelle aree interne della Campania, sulla costa abruzzese e in varie zone del Nord. Si tratta, in tutti i casi, di zone piuttosto circoscritte, che non dovrebbero influenzare troppo negativamente i territori circostanti. Tuttavia il recupero occupazionale rispetto al periodo precedente la crisi appare difficoltoso in molte aree del Paese, particolarmente nel Nord, in vaste zone del Centro (con le notevoli eccezioni di una fascia che va dalla Toscana interna alla costa marchigiana, in Sardegna e in varie aree del Sud e della Sicilia. Nel complesso, la reattività del Mezzogiorno sembra tuttavia lievemente superiore a quella del resto del Paese, anche a causa del già basso tasso di crescita dell’occupazione in queste zone.
Nei prossimi anni, una crescita del valore aggiunto superiore a quella dell’occupazione farà aumentare la produttività anche nel Mezzogiorno, tuttavia questo progresso non sarà sufficiente a colmare il gap accumulato, tanto che nessuna area del Sud e delle Isole presenterà una produttività pari o superiori a quella media nazionale, come mostrano impietosamente i relativi cartogrammi. Solo nell’Abruzzo interno e nella Sicilia orientale si toccheranno livelli appena paragonabili a quelli del resto del Paese (al massimo inferiori del 5%).

Nuclei di sviluppo e di declino nel Mezzogiorno
Già nei precedenti Rapporti, l’OBI aveva identificato alcuni “sentieri” di sviluppo che sembrano congiungere comuni contigui, spesso appartenenti a diverse regioni, accomunati da tassi di crescita superiori alla media.
Secondo l’OBI, tali aggregazioni, non rappresentano semplici strutture geografiche, ma corrispondono potenzialmente a “super-distretti” in cui tra imprese spesso appartenenti a diversi settori riescono a sfruttare le sinergie e le economie di scala rese possibili proprio dalla contiguità territoriale. Tali sentieri si formano preferibilmente, ma non necessariamente, attorno ad assi infrastrutturali che facilitano le interazioni tra i diversi sistemi economici locali.
Per il quadriennio 2017 – 2020, le previsioni dell’OBI sembrano confermare, in primo luogo, l’esistenza di diversi canali che tendono a congiungere il Tirreno all’Adriatico. Il sentiero più settentrionale parte dalla Campania settentrionale, ma si interrompe nelle aree montuose dell’Abruzzo meridionale. Un altro sentiero, seppure caratterizzato da tassi di sviluppo inferiori, forma un arco che parte dalla Calabria e termina nella Puglia meridionale. Accanto a questi sentieri continentali, si intravedono un vasto canale che collega la costa centro-occidentale e quella settentrionale della Sardegna ed un’area nella Sicilia centro-settentrionale che tuttavia appare interrotto e limitato da vaste zone dove la crescita sarà bassa o addirittura negativa.
Nei prossimi anni, accanto a queste aree di sviluppo, si conferma purtroppo l’esistenza anche di veri e propri canali di declino, il più vasto dei quali si trova sulla dorsale appenninica che va dall’Abruzzo alla Basilicata, con un punto di forte criticità collocato nella Campania nord-orientale. Un altro sentiero di decrescita occupa gran parte della Sicilia e finisce per interrompere ed isolare proprio quell’area di sviluppo che si è andata formando nella zona nord-orientale dell’isola. In entrambi i casi, le aree meno progredite sembrano affidarsi troppo quasi esclusivamente al relativo dinamismo dei servizi, che tuttavia non bastano ad assicurare una crescita robusta e continua. Infine, in Sardegna si delinea chiaramente una fascia trasversale di aree a bassa crescita o in declino che parte dalla costa sud-orientale e termina sulla costa nord occidentale (fortemente connessa alla crisi dell’agricoltura e delle costruzioni).
E’ preoccupante come, rispetto al passato, questi sentieri di decrescita tenderanno ad ispessirsi, attraendo aree contigue e interrompendo alcuni canali di crescita. Se questo processo dovesse consolidarsi, gli squilibri all’interno del Mezzogiorno si aggraverebbero e tutta l’area ne subirebbe le conseguenze negative.
La dinamica prospettiva del valore aggiunto sottenderà una crescita piuttosto modesta dell’occupazione. La creazione di posti di lavoro segue solo approssimativamente i sentieri di sviluppo individuati in base all’intensità dell’attività produttiva, se non nel caso delle Isole. Nel complesso, l’occupazione dovrebbe crescere in modo abbastanza omogeneo in tutto il Mezzogiorno a parte alcune vaste aree di regresso in Abruzzo, tra Campania e Puglia e nella Sicilia centrale e orientale. In queste condizioni, il Mezzogiorno sperimenterà forse qualche guadagno di produttività, ma vedrà sempre più aggravarsi la situazione occupazionale.
Tra i grandi comuni del Sud, nei prossimi anni dovrebbero registrare una crescita di tutto rispetto (tra il 3% e il 5% l’anno) due località della Campania (Avellino e Caserta) e tre della Sicilia (Ragusa, Palermo e Catania). Ad eccezione di Ragusa, questi comuni avevano tuttavia subìto alcuni dei crolli peggiori durante la Grande Recessione, quindi la crescita dei prossimi anni può essere considerata un rimbalzo tecnico rispetto a condizioni iniziali molto difficili. Inoltre, un altro gruppo di comuni dovrebbe beneficiare di una crescita superiore al 2% l’anno (Catanzaro, Crotone, Aversa, Taranto. Olbia, Sassari, Pescara). La situazione economica rischia invece di peggiorare significativamente (con tassi di crescita negativi che vanno dal -1,5% al .0,6% l’anno) in alcuni grandi centri della Sicilia (Bagheria, Trapani, Agrigento, Vittoria, Marsala), sommandosi ad un clima sociale già molto preoccupante. In mancanza di interventi correttivi, tenderà dunque ad approfondirsi il solco tra le poche aree più sviluppate del Mezzogiorno e quelle in declino, con conseguenze che andrebbero sicuramente al di là del semplice aspetto economico.

“Questo Rapporto – spiega il presidente Obi, Michele Matarrese – è uno dei tanti risultati del lavoro che l’Osservatorio Banche – Imprese svolge ogni giorno per perseguire i propri fini istituzionali. Anche l’anno in corso è stato un periodo di intensa e proficua attività che ha consentito di rafforzare ulteriormente quel processo di crescita iniziato dal lontano 1996, quando l’Osservatorio fu costituito, con lo scopo di “approfondire la conoscenza dei sistemi produttivi regionali, migliorare le relazioni tra il mondo bancario e le imprese proponendosi quale strumento di analisi e programmazione dei processi di sviluppo sul territorio”. Ritengo fondamentale per il rapporto il nuovo approccio metodologico sperimentato per la prima volta nel 2010, che è stato migliorato sia sotto il profilo tecnico, sia attraverso il ricorso ad ulteriori fonti statistiche. Ciò ha consentito all’Osservatorio di proseguire ed arricchire la ormai tradizionale analisi territoriale a livello comunale, arrivando ad elaborare delle nuove stime del valore aggiunto per tutti i comuni del Mezzogiorno dal 1995 al 2014, spingendosi a formulare delle previsioni fino all’anno 2020, che sarà il benchmark per molti aspetti delle politiche europee.”

Il sorrentino Gaetano Mastellone, vice-presidente Obi spiega: “L’attuale miglioramento dei dati esaminati dal rapporto non segna una reale inversione di tendenza rispetto al ridimensionamento più che ventennale dell’economia meridionale. Su questo punto, le previsioni dell’OBI sono impietose ed indicano una crescita del Sud e delle Isole molto modesta (ben al di sotto della media nazionale) già a partire dall’anno in corso. In queste condizioni, il divario che si è creato tra Nord e Sud è destinato, quanto meno, a permanere immutato in mancanza di politiche adeguate e di un risveglio dell’imprenditoria privata sul territorio. Il rinnovamento delle politiche territoriali, avviato da questo governo, fa sperare che le nuove Agenzie e i nuovi strumenti di intervento, più agili e flessibili, riescano a spingere il Mezzogiorno (e il Paese) fuori dalla spirale regressiva in cui è intrappolato da troppi anni.”