Gianfranco D’Alessio si racconta

Un uomo d’altri tempi, si sarebbe detto una volta del dottor Gianfranco D’Alessio. Con quest’espressione,  nell’era paleo tecnologica, era possibile stilizzare, in positivo, i tratti salienti di una persona. Ma il termine è diventato desueto ed oggi ha perso di significato per mancanza del sembiante e risulta, a volte, addirittura complesso da spiegare.

D’Alessio, pediatra stimatissimo,  con un passato politico di prim’ordine – amministratore, consigliere comunale e candidato sindaco di Meta – promuove da tempo eventi culturali di qualità con seminari di studio  sugli ideali che animarono i patrioti dell’unità d’Italia, le cause della caduta del regime liberale allo scoppio della prima guerra mondiale, il dramma della droga nelle nostre comunità, solo per citarne alcuni.

Forse si rivolge a quelli che Thomas Mann chiamava “i primi cristiani, i devoti dell’arte”; una minoranza in via d’estinzione.

Possibile che per questo riscuota l’apprezzamento entusiasta di pochi, e l’indifferenza dei più. Anche in politica è andata così. Il dottore, nel 2009,  è stato protagonista di  un tentativo tanto generoso quanto sfortunato sul piano amministrativo. Alla prova elettorale è risultato privo dei consensi necessari.

 

Perché insiste nell’organizzare eventi culturali e sociali, non pensa che siano superati?

Non insisto, visto che l’associazione di cui faccio parte “Senza confini”, ha un po’ frenato per impegni, stanchezza e mancato ricambio dei componenti. Ma continuo a pensare che sia importante stimolare e favorire la riflessione collettiva e la diffusione di competenze,  su temi di interesse generale.

Quando organizza incontri sulla storia passata che interesse generale c’è?

Benedetto Croce, grande filosofo liberale, diceva che la storia è sempre contemporanea, perché parla agli uomini ed alle donne dell’oggi. Ne sono profondamente persuaso. E poi le lezioni che vengono dalla storia sono straordinarie ed attualissime. Penso agli ideali dell’illuminismo, la ritrovata fiducia nella ragione, la consapevolezza  che si possono cambiare abitudini e tradizioni millenarie. Ricordarlo mi sembra quanto mai opportuno nell’epoca presente, appiattita sul quotidiano, in cui la politica è sempre più calibrata sull’orizzonte dell’interesse personale. In questo contesto il confronto, la riflessione, il dibattito è importante, anzi decisivo.

Da dove le viene questa tensione?

Gli anni del Liceo sono stati per me  fecondi di passione civile. Allora ho incontrato  persone straordinarie che mi hanno segnato. Penso al Professore Ettore Cuomo, docente di storia e filosofia, che ci ha fatto comprendere l’importanza del pensiero e della cultura occidentali fondata su diritti, libertà, uguaglianza. Don Antonio Esposito, prete e docente di religione, di una modernità sorprendente, anticipatore di temi che oggi sono attuali grazie a Papa Francesco. L’ingegnere Aldo Vazza, docente severissimo, persona seria e coerente, insegnava  matematica e  ci ha dato il senso e il piacere della fatica e della conquista.

A proposito del Papa Francesco, cosa pensa di lui?

Tutto il bene possibile.  Mi ha colpito un dato presente in una ricerca demografica. All’epoca di Gesù, vivevano nel mondo 200 milioni di persone, oggi siamo 7 miliardi e ci prepariamo nei prossimi decenni ad arrivare ad 8. Le soluzioni che andavano bene duemila anni fa, non sono riproponibili oggi. Questo il Papa l’ha capito.

Come vede la politica locale ?

E’ lo specchio degenerato del mondo in cui viviamo. Senza  grandi prospettive, appiattita. Si accetta passivamente la realtà per come è, con tutte le sue piccole miserie, con il ricorso sistematico alla raccomandazione ed a pratiche detestabili.

Invece, per lei, la politica cosa dovrebbe essere ?

E’ concretezza sostenuta da conoscenze, ma anche immaginazione, cambiamento. Ho avuto la fortuna di vivere la mia giovinezza in anni in cui c’erano grandi ideali, contrapposizioni fortissime tra le varie forze politiche, ma legate a principi. I politici di allora, checché se ne dica, anche quelli locali, volevano lasciare un segno positivo del loro passaggio. Oggi, invece, c’è una palude stagnante.

Lei è stato candidato sindaco nel 2009. Perché quel progetto politico è fallito?

Non siamo riusciti a far capire tutta la serietà, il rigore e la concretezza del nostro progetto. Un peccato. Avevamo messo su un squadra formata da professionisti preparati, competenti, gente che non aveva bisogno della politica, ma che voleva dare alla comunità il proprio contributo di idee, passione e proposte.  Era stato elaborato un programma per punti, indicando obiettivi a breve, medio e lungo termine.

Il suo impegno politico è terminato ?

Se intende impegno politico come impegno elettorale, si. E’ finito. Troppo difficile ricominciare, manca l’entusiasmo.

Come è Meta oggi?

Un paese rimasto indietro di 30 anni. Nessuno dei suoi problemi strutturali è stato risolto. Piano ha realizzato il porto, ha Villa Fondi, ha due grandi arterie per la viabilità cittadina: Via dei Platani e Via delle Rose. Meta ha conservato una struttura urbana del ‘700.  E’ un mondo ibernato. Le case storiche che ci sono a Meta, non si trovano neanche a Sorrento. C’è il gusto architettonico di un tempo, la volta a botte, il patio, il giardino interno. Ma questo mondo arcadico è finito. Ci sono difficoltà quotidiane enormi: è difficile a Meta parcheggiare, ma poi le macchine sostano nei giardini tipici sorrentini E poi ci sono soluzioni assolutamente incongruenti, basta guardare a come è ridotto il giardino degli agrumi, un polmone verde con piante autoctone ed essenze tipiche. Oggi  ospita  un lunapark che ricorda i paesi dell’entroterra vesuviano.

Questa l’analisi, ma che fare?

Si tratta di stabilire la strategia da seguire. O facciamo come Positano che ha lasciato inalterato  e salvaguardato l’impianto urbano storico, oppure le criticità vanno risolte.

E la tutela del paesaggio?

Rispettare il paesaggio, ma anche le esigenze di un mondo in trasformazione e che cambia. E’ necessario uscire dalla particolare concezione per cui o il nuovo è l’aberrazione del vecchio oppure il vecchio è preservato ad oltranza. Così non si va da nessuna parte.

Meta cosa potrebbe essere?

Un paese turistico alternativo a Sorrento con un’offerta distinta, rivolta al target di quanti cercano tranquillità, residenze storiche in cui alloggiare e tipicità locali, con prezzi meno aggressivi.

Invece che turismo c’è a Meta ?

Non voglio offendere nessuno, ma vedo un turismo becero da “mordi e fuggi” che non porta arricchimento né economico, né intellettuale.

Ma cosa pensa della passeggiata Meta-Alimuri ?

Rispetto al nulla è un qualcosa di positivo, ma questa realizzazione va inserita in un contesto di offerta turistica complessiva che oggi manca del tutto. Penso alla bellezza della spiaggia e dell’area detta del Purgatorio. Con un’opera di bonifica, da lì può partire un percorso naturalistico di rara bellezza, risalendo per i Valloni. Giusto per fare un altro esempio, ci sono i Casini di Alberi, un altro elemento di pregio, collocato in un contesto panoramico notevole, da recuperare e rilanciare.

Chi è stato il miglior sindaco di Meta ?

Per quelli che ho conosciuto, nessuno è stato sostenuto da una squadra adeguata. Per il passato Angelo Cosenza.

Ci sono state importanti occasioni perse?

Nel dopo terremoto c’erano fondi disponibili per realizzare fabbricati. Invece di puntare su progetti di qualità è stato costruito, in Via Mariano Ruggiero,  una quartiere dormitorio. Veramente, un’occasione sprecata.

Cos’è che più non le piace del nostro tempo?

Il ritorno al “particulare”. Ciascuno vuole raggiungere un obiettivo tramite un percorso esclusivamente personale, un tempo il percorso era collettivo. E così la conquista non era solo personale, ma dell’intera comunità che cresceva.
Un messaggio per chiudere?

Ricordo negli anni ’70 arrivò a Sorrento Padre Ernesto Balducci, un bel dibattito, tante domande. Alla fine ci disse: cari amici sorrentini, vi auguro di essere più inquieti. E lo stesso augurio che rivolgo oggi a tutti noi, in particolare ai giovani.

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