Tutte le interazioni sociali hanno effetti sul mondo interno e viceversa, e questo è particolarmente evidente quando ci troviamo in un contesto gruppale, che sia il lavoro, la scuola, la famiglia o gli amici poco importa. In queste situazioni emergono aspetti molteplici e poco evidente rispetto a quando ci osserviamo da soli. Il modo in cui entriamo in relazione è frutto anche di quanto appreso durante l’infanzia e di come ci si relazionava a quel tempo. O, di contro, si mettono in essere le stesse modalità che i familiari hanno usato con noi da piccini. È nell’ambito di queste prime relazioni che il bambino sviluppa ed interiorizza degli schemi, definiti da Bowlby tecnicamente Modelli Operativi Interni (M.O.I.), che guideranno ed orienteranno il bambino anche nell’ambito delle sue future esperienze relazionali. Una premessa che ci introduce al tema di oggi: l’attaccamento e la separazione. Abbiamo più volte scritto che, appena nato, il bambino comincia la sua battaglia per l’autonomia. Sebbene sembri un’affermazione forzata è così. Il primo respiro fuori dall’utero sancisce ufficialmente un atto di scissione: dal cordone, dall’utero, dalla madre. Tuttavia, non possiamo essere abbandonati a noi stessi. Abbiamo visto negli articoli precedenti che il contatto, nonché le stimolazioni, sono essenziali per una buona crescita. Quanto è difficile per un genitore bilanciare il giusto livello di attenzione e protezione contro autonomia e spazio? In effetti non è affatto facile. Il rischio è di passare dall’essere “genitore elicottero” a “perfetti sconosciuti”. Non estremizziamo! Mano a mano che il piccolo cresce è importante lasciargli sempre più spazio, spazio e tempo che andranno dosati e calibrati prestando attenzione all’età del bambino, alla maturità affettiva e fisica dello stesso ed al momento. Cosa vuol dire? Che lo incoraggeremo a preparasi da solo lo zainetto per andare alla scuola materna dopo avergli mostrato cosa ci va messo dentro,dove sono le cose e soprattutto disponendole in luoghi per lui raggiungibili, così potrà essere autonomo la mattina. Tuttavia, non lo pretenderemo i primi tempi che sono già duri per il solo fatto di doversi separare da noi per diverse ore, per le interazioni con altri bambini e con le insegnanti e magari, non lo pretenderemo neppure se è al secondo o terzo anno di materna ma la notte è stata burrascosa e qualche brutto sogno ha disturbato la nanna. Insomma, sta a noi adulti dosare ogni giorno buonsenso, rispetto e fiducia. Buonsenso perché le giornate non sono tutte uguali, i periodi familiari e sociali non sono identici e quanto è stato valido fino al giorno prima potrebbe non esserlo più oggi. Rispetto, perché l’unico compito che abbiamo è assicurargli protezione e cura e osservare con orgoglio, ammirazione e rispettosa distanza il successo di un bimbo che muove i primi passi, che riesce a fatica a riporre i giochi dopo averli usati, che lotta con coraggio per esplorare il mondo e scoprire che esiste l’altro da sé, e quanto è dura scoprire che si chiama “fratellino” e mi rompe i giochi! Fiducia nel fatto che ce la farà, con noi accanto non davanti. Altrimenti rischiamo di coprirgli la visuale sugli obiettivi da raggiungere, le mete da desiderare e sicuramente gli rallentiamo il passo.
Dott.ssa Margherita Di Maio, psicologa-psicoterapeuta ad approccio umanistico e bioenergetico. Per info 331 7669068
Dott.ssa Anna Romano, psicologa-psicoterapeuta dell’età evolutiva. Per info 349 6538043