Cari lettori,
eccomi di nuovo a voi per raccontarvi le mie avventure del “migrante”, questa volta dalla città di Perugia.
Sono giunto qui nella città del cioccolato il 30 agosto, sempre in compagnia di mia madre e mia sorella e dopo esserci sistemati provvisoriamente in un residence, il giorno dopo ci siamo messi a cercare casa; come sempre ci siamo divisi i compiti: mia sorella teneva i rapporti con le agenzie, mia madre valutava gli appartamenti e io avevo il compito di…autista.
Iniziamo di mattina con una prima agenzia, giunti al luogo dell’appuntamento, dopo i convenevoli di rito, con la nostra auto ci rechiamo a vedere la prima proposta ma non va bene, è una casa troppo isolata, sulla strada e nonostante l’ottima capacità persuasiva della proprietaria ultracentenaria decliniamo e passiamo a visionare la seconda casa, che è carina, il prezzo accettabile ma poi alziamo lo sguardo e vediamo che i soffitti sono pieni di muffa, in pratica sarebbe stato come vivere in un bosco; mentre andiamo alla terza casa io mi rendo conto che il mio compito di autista è il più difficile, sì, infatti, Perugia è piena di sensi unici e io mi ritrovo a vagare senza meta come gli ignavi di Dante, dietro a indicazioni di un navigatore che alla fine non seguo neanche più perché lo ritengo inattendibile.
Alla fine, dopo tanto vagare e tante chiacchiere decidiamo di rimanere nel residence, dato che il proprietario è d’accordo a fittarcelo fino a Giugno; è grande, con due camere da letto matrimoniali, un bel salone largo e spazioso con angolo cottura e un bagno con una doccia che accoglie a meraviglia il mio corpo diciamo così non proprio filiforme.
A scuola è andato tutto bene; il primo giorno mi presento alla Preside la quale mi dice di aver letto il curriculum inviatole dal sottoscritto e mi spiega che la più grande difficoltà della scuola è che si trova in un quartiere (Ponte San Giovanni) con il 70% di popolazione scolastica di immigrati i cui genitori non sempre fanno lavori onesti (girano intorno al carcere) e che loro hanno il difficile compito di mediatori culturali e poi mi propone di fare il maestro prevalente in una classe V con alunni con grandi problematiche (due su tutte: un bambino del Bangladesh che ha vissuto da vicino il dramma dei Rohingya e due alunne che provengono dalla Macedonia e che hanno visto la guerra con l’Albania per la questione linguistica di una parte della nazione). Io accetto e mi ritrovo subito nei ritmi dell’anno scolastico; le prime giornate di lezione trascorrono bene se non fosse che bisogna elaborare l’orario e tante menti eccelse, la mia per prima non ci riescono se non dopo giorni di lotte, trame segrete e sotterfugi ( per avere l’orario migliore???!!!) che neanche per la formazione di un governo accadono.
Alla fine le mie colleghe mi propongono di aggiungere ai miei compiti anche l’insegnamento della Geografia e delle Scienze nelle altre due quinte e proprio in una di queste mi capita un episodio molto divertente che vi racconto: stavo parlando con la classe dei sogni di ciascuno di noi e raccontavo del mio sogno d’insegnare, quando un alunno mi dice: “ che vita triste che fai, sempre in una scuola” allora io gli dico che è questo il mio sogno e vedo che lui si alza, mi viene vicino e dice: “ ma veramente ti piace stare a scuola?” – sì gli rispondo e lui diretto: “ come devi essere infelice” , aggiungo che tanto che mi piace insegnare che l’ho fatto anche gratis e lui a questo punto, come troppo innervositosi, esce dall’aula senza degnarmi di uno sguardo o chiedermi il permesso.
Adesso vi lascio mi scuserete se sono stato un po’ lungo ma era da un po’ che non ci sentiamo, la prossima volta sarò più breve come al solito.
Salvatore Foggiano