Il migrante | L’importanza del volontariato e il… “panino” della discordia

Cari lettori,
rieccomi a voi. La vita procede bene, a parte il maltempo che da ormai una settimana flagella tutti i castelli con piccole e grandi bufere. Nelle settimane scorse, grazie ad una mia collega, mi sono avvicinato ad una nuova realtà sociale, ossia un’associazione che aiuta i ragazzi con poche possibilità economiche nei compiti pomeridiani e agli stranieri insegna l’Italiano, tutto in modo gratuito. Ebbene, ho visto da vicino come i volontari si dedicano a queste attività in modo molto preciso e serio. Qui ho conosciuto una famiglia (padre, madre e 5 figli) di profughi che è arrivata in Italia direttamente da un campo profughi due anni fa e nei primi tempi assistita da un ente. Poi questa assistenza è venuta gradualmente meno e oggi vivono con ciò che si guadagnano i genitori con i lavoretti che trovano. Tutti loro frequentano questa associazione, sia i figli che stanno ammattendo con tabelline e verbi, mentre i genitori apprendono qualche parola d’Italiano. Io ho fatto lezione alle due ragazzine che frequentano la mia scuola ma la mia pazienza è durata poco: infatti, dopo aver mostrato in esempi e spiegazioni il lavoro da fare, davanti alle loro facce ed espressioni interrogative, iniziavo ad urlare, poi mi calmavo e mi mettevo a ridere, suscitando ilarità anche in loro che si sono ben presto affezionate a me e abituate ai miei modi.

A scuola io e le colleghe siamo impegnati in verifiche e Olimpiadi matematiche tra momenti seri e scherzosi. Come ad esempio lo scorso lunedì in refettorio, mentre stavamo pranzando, un bambino mi si avvicina e mi dice che non ha avuto il panino, allora io gliene faccio avere un altro, poi ne arriva un secondo dicendomi sempre la stessa cosa e poi il terzo; a questo punto insospettito mi alzo e vado a controllare bene e vedo un alunno che si era riempito il grembiule di panini a tal punto che sembrava l’omino della Michelin; allora rimproverandolo gli dico che non può prendersi i panini dei compagni ma lui serafico mi dice: “Maestro, ma noi i panini e la frutta che non mangiamo la portiamo in classe per mangiarla il pomeriggio nella seconda ricreazione”. “Eh allora?” gli dico. “Io ho pensato che li porto con me e li mangio a casa” mentre ormai i compagni inferociti (ai bambini della Scuola Materna e della Primaria toccategli tutto ma non il panino, potreste essere sbranati) montavano un sit – in di protesta del miglior sindacato, non facendosi scrupolo di arrivare a minacce personali e ricorsi ai vari genitori.
La contesa è finita con i panini che sono ritornati al loro posto, ma ormai ogni volta che si va a mensa devo prestare ancora maggiore attenzione al mitico panino affinché finisca nelle fauci giuste.

Salvatore Foggiano

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