Racconto a cura di Salvatore Foggiano
Cari lettori,
anche il mese di maggio è arrivato e con lui il fiorire degli alberi che qui è un po’ fastidioso per via del Pitosforo che cade come una neve sottile; la città si è rianimata, il Tevere risplende sotto il ponte Vecchio mentre scorre placido verso Roma, così come le mie giornate allietate dai bambini, dagli impegni scolastici e dai pochi conoscenti del luogo.
Tra questi vi è un simpatico signore sulla cinquantina che incontro spesso per strada o al bar e, proprio l’altro giorno, mentre seduti al tavolino chiacchieravamo del più e del meno, mi ha detto: “Eppure io l’ho sempre chiamata professore o dottore ma forse dottore è brutto, ricorda malattie e ospedali”. Io gli ho risposto: “Sul dottore concordo, per me può chiamarmi anche professore o maestro, ma preferisco quando mi chiamano per nome, Salvatore, mi piace molto, senza fronzoli”. Riprende lui e mi dice: “Lei dice così perché è di Napoli, voi napoletani siete meravigliosi, io ho lavorato venti anni con gente partenopea e ricevevo un calore mai visto; eh già, perché noi umbri non vi possiamo capire in quanto siamo bestemmiatori e atei per via del fatto che siamo stati sudditi oppressi dallo Stato Pontificio nei secoli scorsi, chiusi ( infatti umbro vuol dire ombroso) e trattiamo le persone solo se ne abbiamo bisogno, infatti, io le dico di scappà il più presto possibile da qui, lei da napoletano non ci può stare bene”. Io lo osservavo e pensavo alla sua analisi molto dura, schietta e anche infervorata, però mi ha colpito ascoltare un uomo parlare così della sua terra, si vedeva che c’era una sofferenza, non era contento di dire quelle cose ma allo stesso tempo avvertiva il dovere di essere sincero.
A scuola dopo le vacanze pasquali ci siamo ritrovati e lo scorso venerdì ero in classe mia, mentre il maestro di religione spiegava il martirio di San Pietro a Roma, la spiegazione era semplice e lui molto motivato come sempre. Ma ad un certo punto un’alunna risponde alla domanda su Pietro esordendo così: “Pietro martisce a Roma…”; risate generali. Il maestro costernato trova, però, il modo di continuare, quando all’improvviso un bambino gli chiede: “Io non ho capito, come fanno a inchiodare Pietro a testa in giù, mettono la croce nel terreno? e poi come lo mantengono mentre lo inchiodano?”. Bene, a questo punto il mio collega spiega sotto voce che lo inchiodano prima di fissare la croce e conclude la lezione in modo melanconico, con il sottoscritto che lo rincuora dicendogli che riescono sempre a sorprenderti e per questo il nostro lavoro è bellissimo.
Ora vi lascio e vi aspetto il prossimo mese come sempre.
Salvatore Foggiano