Quando si parla della scuola italiana si definisce, quasi sempre “la scuola dell’inclusione”, intesa come quel “processo di fortificazione delle capacità del sistema di istruzione volto a raggiungere tutti gli studenti”. … Un sistema scolastico “incluso” può essere creato solamente se le scuole comuni diventano più inclusive. In altre parole, se diventano migliori nell’ “educazione di tutti bambini della loro comunità”.
La mamma “ del diversamente abile” spesso , durante il percorso scolastico del proprio figlio si trova dinanzi a questa definizione e da principio tende anche a crederci.
Resta fiduciosa e ottimista anche quando , per informarsi, fa un personale e veloce excursus sull’evoluzione del processo scolastico in ambito di inclusione.
Resta ancora fiduciosa e ottimista quando scopre che l’obbligo scolastico era stato esteso solo ai ciechi ed ai sordi con la Riforma Gentile del 1923 e resta tale anche quando scopre che dieci anni più tardi l’istruzione speciale aveva previsto la nascita delle classi differenziali ,addirittura destinate anche agli allievi con problemi di condotta, disagio sociale o familiare ( come i figli di immigrati del sud) .Fino alla fine degli anni ’60 la logica prevalente rimaneva quella della separazione, in cui l’allievo disabile veniva percepito come un malato da affidare ad un maestro-medico e come potenziale elemento di disturbo.
Rabbrividisce la mamma “del diversamente abile “ quando scopre che alcune di queste classi erano definite “classi speciali per fanciulli deficienti” e prova sollievo per non aver messo al mondo suo figlio in quell’epoca di totale isolamento.
Questo sollievo permane ancora quando apprende che le classi speciali e differenziali venivano abolite con la nascita della figura dell’insegnante di sostegno, nel 1977.Tutto questo per giungere alla legge104/92 con la quale ha più familiarità.
Quella sensazione di fiducia e ottimismo , purtroppo, sparisce nel momento in cui la mamma “del diversamente abile “ deve scontrarsi con la realtà.
Superati gli anni della scuola dell’infanzia si giunge alla scuola primaria. Si lascia il grembiulino bianco per indossare quello blu (o altra divisa) ,è importante la divisa serve a far sentire gli alunni tutti uguali e alla mamma “del diversamente abile “ sarebbe veramente di sollievo se un grembiulino blu avesse il potere di cancellare le disuguaglianze !La verità invece è che l’inclusione è una bella parola , un alto ideale che di fatto è difficile applicare perché si capisce subito che il diritto di avere un insegnante di sostegno ( come previsto dalla legge 104/92) non è tale ,ma va conquistato ricorrendo ad un ricorso al TAR ,se si vuole garantire al proprio figlio un’assistenza dignitosa. Si scopre che esistono classi con alunni disabili che hanno più di 20 componenti e che addirittura possono trovarsi 2 alunni per classe con insegnante di sostegno. Ancor peggio si scopre che le insegnati di sostegno sono usate come supplenti in altre classi ,un vero e proprio atto illegittimo, visto che per avere questo diritto molte famiglie si sono accollate la spesa di un ricorso.
Nella peggiore delle ipotesi si può capitare in un istituto che non nomina nemmeno il GLH (gruppi di Lavoro per integrazione scolastica ) , ovvero quegli incontri volti a programmare progetti per migliorare e garantire l’inclusione. A questi incontri dovrebbero partecipare oltre al dirigente, insegnanti e genitori anche rappresentanti delle ASL del territorio e figure di riferimento degli uffici comunali a cui fa riferimento l’istituto .Quando invece , partecipa ai primi GLH la mamma “del diversamente abile “si sente il più delle volte fuori luogo, alcuni termini non sono riconoscibili , vorrebbe anche fare domande o proposte ma prova o imbarazzo o poca preparazione , ha anche pudore di parlare del proprio figlio dinanzi ad altri genitori. Perciò mentre la mamma “del diversamente abile” lavora a casa per le autonomie del proprio figlio ,per fargli studiare ( se ne ha l’abilità) nozioni, che per la maggior parte non gli serviranno nella vita, ma serviranno a farlo sentire uguale ai sui compagni; mentre lei lotterà per continuare ad avere la terapia necessaria sul territorio, e cercherà di creare un barlume di vita sociale da offrire a quel figlio magico ,mentre si scontrerà anche con familiari che non capiscono, dovrà comunque combattere ,costantemente per il diritto allo studio.
La mamma “ del diversamente abile” ben presto sarà costretta a rendersi conto che non può permettersi di restare ignorante riguardo certi argomenti,dovrà imparare l’arte della retorica per riuscire a comunicare con intelligenza e garbo con tutte le figure professionali che si occupano di suo figlio; dovrà altresì “riabilitarsi” allo studio sempre con forza e dinamismo ma soprattutto non dovrà mai dimenticare ciò che conta: la serenità di suo figlio .Il quale ben presto le farà capire il vero diritto che conterà per lui ovvero quello dell’amicizia ….e ci si imbatterà in un ulteriore dolore ,cercando di non soccombere.
Colomba Belforte