Intervista a don Antonio Guida: “La religione, il sesso, la vita”

 

Don Antonio Guida è un giovane ottantenne che ha pensieri lunghi e di una modernità disarmante. Oggi è un sacerdote in pensione. E’ stato parroco in vari casali di Vico Equense e da ultimo, per 40 anni, nell’amatissima Massaquano, borgata collinare. E’ un uomo saggio, un pezzo di storia, custode e cultore dell’identità civica. Personalità eclettica. Ha giocato a calcio, mentre faceva il prete; ed è curioso del mondo: legge e cita il teorico della “società liquida” Zygmund Bauman, ama la musica e ha praticato il canto –  con una predilezione per il gregoriano -, ascolta l’opera classica. L’abbiamo incontrato nella casa canonica,  sopra la trecentesca Cappella di S. Lucia che contiene un prezioso affresco di scuola giottesca, da lui stesso scoperto nel lontano 1984.

Chi è Don  Antonio Guida, descritto da sé medesimo?

Sono stato un povero ragazzino, nato in una famiglia semplice nella piana di Massaquano. Da piccolo, avevo 9 anni, ho lasciato la zappa ed i secchi di rame con cui raccoglievo il latte dai fattori del posto, per conto della mia famiglia, e sono entrato in seminario.

Come è arrivata la vocazione?

Un frate francescano frequentava la mia casa, padre Raffaele. Da piccolo era stato allattato da mia mamma. Mi parlò del seminario, ci andai ed ho deciso di proseguire.

Ricordi di quel periodo ?

Ricordo il seminario a Sorrento, ambiente austero, severo, ma carico di umanità, poi il ginnasio. Avevo una voce bellissima, mi facevano cantare le lamentazioni di Geremia. Godevo della stima dell’Arcivescovo, Monsignor Serena. E’ arrivato il Liceo e il Seminario, al Pio X, di Salerno, dove sono stato Prefetto di camerata per 4 anni e partecipe della Schola Cantorum, diretta dal celeberrimo padre Enrico Buondonno, gregorianista.

Ricordi, invece, della vita familiare, del paese?

Mi ricordo bambino, in braccia a mio padre, terrorizzato dagli aerei americani che, provenienti da Salerno, bombardavano il cantiere di Castellammare. Quel frastuono nella notte mi è restato nella memoria. Ancora, ricordo l’eruzione del Vesuvio, la cenere ovunque e mio padre che piangeva perché non si poteva dare da bere  l’acqua agli animali contaminata.

A proposito di quei tempi. Lei ha titolato un suo libro: eravamo poveri, ma felici

Si, la povertà, ma c’era una maggior solidità di fondo nelle persone e di conseguenza nella vita comunitaria.

Oggi invece?

Per utilizzare un termine biblico siamo passati dalle vacche magre alle vacche grasse, ma non è migliorata la qualità della nostra vita.

Perché?

Perché stiamo perdendo le nostre radici. Non sappiamo da dove veniamo e quindi non sappiamo dove andare. Come ha detto un profeta contemporaneo, Zygmund Bauman, la nostra è una società liquida.

Una comunità come quella equana cosa dovrebbe recuperare?

Una cosa tra tante: Vico Equense può vantare una tradizione illuministica di primaria importanza. Proprio a Massaquano, nel palazzo al centro della borgata, Bartolomeo Intieri, ospitava l’Abate Galiani e Genovesi, eminenti personalità dell’epoca ed il cui pensiero è ancora attuale.

Lei dice attuale. Ma a cosa serve oggi ricordare l’illuminismo napoletano?

Serve perché in quella straordinaria stagione fu affermato il principio sacrosanto dell’uguaglianza di tutti gli uomini. Ed oggi invece le disuguaglianze aumentano, come cresce il divario sociale, ma pare non ci sia più consapevolezza del comune destino e della medesima dignità tra gli uomini. Forse, ciò si verifica, proprio perché siamo schiacciati sul quotidiano, sul presente e non sappiamo più recuperare le grandi lezioni del passato.

Una qualche difficoltà nel mondo d’oggi l’incontra anche la Chiesa

E certo, alcuni problemi sono legati ad una mancata educazione alla vita affettiva e sessuale.

In che senso?

La sessualità è un dono che va calato nella vita di ciascuno sulla base delle scelte che fa. L’amore, come ci insegnano i classici, ha tre livelli c’è l’eros, che si esprime con l’immediatezza della forza, la filia, l’amore che unisce genitori e figli e l’agape che ne è il compimento più alto. I divieti non sono educativi, né formativi. Da piccoli noi crescevamo in una sana promiscuità tra fratelli e sorelle, dormendo nello stesso letto e condividendo ogni momento senza malizia.

Le posso fare una domanda sfacciata?

Prego

Lei che rapporto ha avuto con la sessualità, si è mai innamorato?

Certo che mi sono innamorato. Mica sono un pezzo di legno, ma poi tutto è stato assorbito da qualche cosa di più grande e più alto. Quanto alla sessualità, che è una energia positiva, i sensi sono cavalli bizzarri, non bisogna esserne schiavi, ma vanno guidati, indirizzati, dominati consapevolmente, altrimenti si trasformano in frustrazione.

L’essere prete oggi  è cambiato, rispetto ai suoi tempi?

Nell’essenza no, ai nostri tempi c’era maggiore attenzione ai generi letterari biblici, forse la formazione un po’ più rigorosa.

E nelle manifestazione delle fede cosa non va?

Il “bizzochismo” non va bene. Quelli che vanno in giro a cercare il sensazionale, bambinelli che ridono o madonne che piangono o parlano. Questi fenomeni rientrano nel devozionismo e nel tradizionalismo. Tutto ciò  trasforma il cristianesimo in religione e soffoca la dimensione centrale della fede che è l’annuncio.

La sento molto in sintonia con il Papa Francesco

Il Papa è un dono straordinario di Dio alla Chiesa ed al Mondo. La centralità della Misericordia ha un valore dirompente.

Lei ha conosciuto diversi Vescovi, quale le è rimasto più nel cuore

Monsignor Zama

Perché?

Per la grande cultura nell’esegesi biblica e nella conoscenza dell’animo umano. Era un napoletano autentico, intuiva subito chi aveva di fronte. Lo ricordo sagace e ironico. Mi diceva in dialetto e lo diceva un po’ a tutti: io e te simm e’ meglie, e nun simm na gran cosa. Oppure in presenza di un prete orgoglioso, era solito dire: scendi da cavallo. Ricordo anche le sue lacrime, quando un prete negli anni settanta lasciò il sacerdozio e lui non riuscì a farlo tornare sui suoi passi.

Chi è secondo lei un buon prete?

Anzitutto il  prete povero. Inoltre, il buon prete  deve avere le mani aperte per dare, per benedire e le deve avere piagate, perche accoglie il dolore e le sofferenze di tutti.

Fra cento anni, come vorrebbe la ricordassero?

Come un prete povero.


Commenti

Una risposta a “Intervista a don Antonio Guida: “La religione, il sesso, la vita””

  1. Domenico Cacace

    Potremmo essere stati compagni delle scuole medie al seminario di Sorrento negli anni 1950-1953.
    Possiedo una foto di gruppo della seconda media di quegli anni dove potremmo identificarci se abbiamo frequentato le medie insieme.
    Attualmente risiedo a Segrate (Mi) ma d’estate ritorno sempre a Massa Lubrense mio paese d’origine.