E’ passato un altro anno per la mamma del “diversamente abile”, un altro tassello di tempo da accantonare e custodire fra i ricordi, un altro cumulo di attimi da lasciare andare al passato per raggrupparne altrettanti verso il futuro.
IL FUTURO: ecco il nuovo obbiettivo su cui focalizzare le energie, continuare ad assistere il proprio figlio magico, rafforzando le autonomie (quando è possibile) e cominciare a capire che le tante energie spese nello studio saranno state vane se quel figlio ancora non concepisce il valore dei soldi, se ancora fa fatica a vestirsi da solo, trovare gli oggetti dentro casa, ricordare più mansioni di seguito o apparecchiare la tavola, tutte azioni che non sono scontate per tanti figli magici. Molti figli magici sono “allenati” ad adoperarsi in tante azioni, ma sempre con il supporto di un genitore che dà loro le indicazioni… e quando un genitore non sarà più presente cosa accadrà a quel figlio?
Fino ad una certa età la mamma del “diversamente abile” cerca di non pensare al futuro, vive la sua vita dedicandosi allo sviluppo del figlio per ciò che riguarda il parlare, il mangiare, per tutto quello che riguarda la sfera scolastica e per quello che riguarda le briciole di vita sociale (sempre là dove le problematiche del figlio lo consentano), ed è giusto così ma ad un certo punto è il futuro che si presenta, invadente e prepotente! Lo fa quando la mamma del “diversamente abile” comincia a vedere quel figlio che teneva in braccio crescere in altezza e assumere una fisionomia da adulto, quando comincia ad avere la prima peluria o una parvenza di seno (se femmina). In quel momento la mamma del “diversamente abile” comincia a scervellarsi, il tempo passa più in fretta e cresce il desiderio di poter lasciare a quel figlio magico una speranza di una vita serena. Chi amerà quel figlio? Chi se ne prenderà cura? chi avrà la pazienza e la benevolenza di offrigli un lavoro? con chi potrà parlare? Chi ascolterà i suoi silenzi? chi leggerà il suo sguardo e capirà i suoi comportamenti? Chi potrà placare le sue ansie e rassicurarlo? Chi lo abbraccerà e gli dirà che lui/lei è perfetto così com’è?
Si può rispondere a queste domande solo o con la speranza o con la disperazione.
E la disperazione cresce se si pensa di vivere in Italia, cresce se si pensa all’indifferenza totale delle istituzioni a tutti i livelli comunali, regionali e nazionale e non svanisce anche se è stata fatta una legge negli ultimi anni .
Infatti il 25 giugno 2016 è entrata in vigore la Legge Dopo di noi (112/2016) per tutelare i diritti dei disabili gravi rimasti senza familiari, una legge che si promuove di favorire il benessere, l’inclusione sociale e autonomia delle persone con disabilità. Tra le misure contenute nella legge Dopo di Noi all’articolo 4 del testo è disposta la creazione di un fondo per l’assistenza e il sostegno ai disabili privi dell’aiuto della famiglia.
Il Fondo è compartecipato da Regioni, Enti Locali e associazioni del Terzo Settore e sarà finanziato da una dotazione triennale di 90 milioni di euro per il 2016, 38,3 milioni per il 2017 e 56,1 milioni per il 2018. I requisiti necessari per accedere al Fondo dovranno essere disposti dal ministero del Lavoro entro 6 mesi dall’entrata in vigore della legge il quale avrà anche il compito di vigilare sull’utilizzo dei fondi stanziati e sui progetti attivati.
L’esistenza di una legge se pur è un atto di civiltà non tranquillizza la mamma del “diversamente abile” perché l’attuazione della legge e la realizzazione di progetti dovrebbe considerare come requisito necessario la sensibilità delle persone che vogliono creare progetti adatti e soprattutto l’onesta di chi dovrebbe vigilare. Dovrebbero essere progetti realizzati per lo meno con il supporto delle famiglie.
E allora la mamma del “diversamente abile” comincia a pensare ad un altro periodo storico lontano secoli, il tempo in cui la schiavitù era legittimata e tollerata, cosa che sembra assurda ai giorni nostri eppure forme di schiavitù esistono ancora e se pur non le vediamo sono a noi vicine. Se per schiavitù è intesa la privazione della libertà di muoversi o esprimersi nelle proprie potenzialità e idee, allora le istituzioni odierne sono complici di innumerevoli schiavitù anche riguardo alle persone disabili. Quando una società non consente ad altri esseri umani di sentirsi coinvolti nella vita quotidiana negando loro un concreto e dignitoso inserimento, allora si favorisce “la schiavitù” all’isolamento; quando disabili in carrozzina non possono spostarsi liberamente e in autonomia per la presenza di barriere architettoniche, allora si favorisce “la schiavitù” di intere famiglie a restare bloccati in casa. Quando non è previsto l’inserimento nel mondo del lavoro di persone che hanno comunque delle buone possibilità, allora si nega la libertà di esprimersi e il diritto al lavoro.
Là dove c’è la privazione anche di un solo diritto si stanno creando i presupposti per nuove forme di schiavitù meno tangibili o evidenti, senza frustate, ma subdole e pericolose.
Purtroppo ognuno di noi è complice di questa regressione sociale nel momento in cui tace!!!
Colomba Belforte