LA POSTA DELLA PSICOLOGA: Covid-19 e percezione del pericolo.

Care Dottoresse, non riesco a spiegarmi come sia possibile che nonostante i tanti avvertimenti forniti da esperti del settore circa il rischio di contagio da Covid-19, molti sembrano essere incuranti del pericolo: movida, mascherine indossate scorrettamente o non indossate affatto, poca attenzione nel rispetto delle regole di distanziamento, c’è una spiegazione a tutto ciò?

Cara lettrice, pone una questione molto interessante e che, le anticipiamo, sarà piuttosto complesso sviscerare in poche battute. La sua domanda si riferisce nello specifico alla situazione che si è venuta a creare con l’emergenza sanitaria da Coronavirus ma in realtà ci permette di fare qualche riflessione più ampia rispetto alle modalità di funzionamento della mente umana di fronte al pericolo. Dobbiamo per prima cosa abbandonare l’idea che le nostre azioni siano frutto sempre e soltanto di processi razionali; in realtà ogni nostra decisione risente anche di altre variabili come la componente motivazionale, le emozioni che proviamo, il contesto in cui ci troviamo.

Proprio a proposito di emozioni, non dovremmo avere tutti paura e, di conseguenza, proteggerci?

La logica vorrebbe questo: ho paura, non mi espongo al pericolo. Quando però entriamo nel terreno delle emozioni e del modo in cui le gestiamo, non è sempre la logica a dominare. La paura è una di quelle emozioni che colora la nostra vita da quando siamo molto piccoli e, a mano a mano, per poterla gestire, sviluppiamo delle strategie per affrontarla. Non sempre e in tutte le circostanze tali processi ci riescono, soprattutto quando la fonte del pericolo è fuori dal nostro controllo. In questo caso la paura potrebbe paralizzarci o, all’opposto, scatenare dei meccanismi difensivi che ci portano a minimizzare il pericolo, fino a negarlo facendoci sentire, di conseguenza, invulnerabili.

Questo meccanismo spiegherebbe il perché di tanta disattenzione nell’osservare le prescrizioni che ci sono state date nell’affrontare questa emergenza sanitaria?

E’ un elemento aggiuntivo per poter leggere un comportamento nella sua complessità, ma non è il solo di cui bisogna tenere conto: glielo avevamo anticipato che non avremmo risolto la questione nello spazio di un articolo! Parlavamo prima anche di fattori motivazionali e contestuali che condizionano i nostri comportamenti: magari un giovane dovendo mettere sui due piatti della bilancia il poter vedere i propri amici, da una parte, e proteggersi da un nemico invisibile, dall’altra, propenderà per la prima, a maggior ragione se troverà man forte in tutto il gruppo di amici. L’intento non è certamente quello di giustificare questo tipo di scelta, assolutamente, ma senza una comprensione delle dinamiche che ci sono dietro determinati comportamenti faticheremo sempre a favorirne il cambiamento.

Nemico invisibile fino ad un certo punto, i suoi danni sono più che manifesti..

E’ così, le sue conseguenze sono sotto gli occhi di tutti noi. Quando parlavano di invisibilità facevamo riferimento più che altro alla percezione di minaccia: se dovessimo scappare da un uomo armato non ci penseremmo due volte, e pure può osservarsi una reazione opposta di immobilizzazione. In questo caso, il fatto che il virus non sia qualcosa di tangibile può interferire con una realistica percezione del rischio che corriamo, sia in direzione di una sopravvalutazione e di una paura paralizzante, sia nel senso di una minimizzazione del pericolo sostenuta dalla credenza erronea e irrealistica che non colpirà proprio noi e che non siamo poi così vulnerabili. E in questi casi poca informazione, come anche un suo eccesso che rischia di diventare confusivo, non sono d’aiuto nel promuovere l’assunzione di comportamenti protettivi e responsabili.

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