Capita piuttosto spesso che ci vengano richiesti suggerimenti o consigli relativamente a tematiche specifiche, al di fuori dello spazio consulenziale. Alcune di queste domande toccano argomenti di interesse ad ampio raggio, così abbiamo pensato di rispondere ad esse. Potete porcele scrivendoci in privato alla pagina Facebook dello studio (Studio Psicologico Romano-Di Maio) oppure ai numeri sotto indicati. Buona lettura!
Salve Dottoresse, siamo molto preoccupati per le reazioni che nostro figlio ha quando viene rimproverato: diventa rosso, si imbroncia e comincia a piangere. Ci dispiace vederlo così ma ci chiediamo se sia giusto smettere di richiamarlo quando ha un comportamento inadeguato solo per non farlo soffrire. Esiste un modo giusto per rimproverare un bambino?
Cari genitori, la domanda che ci ponete contiene già in sé la risposta: ci sono modi e modi di rimproverare, alcuni giusti ed altri sbagliati. Richiamare un bambino, quando assume una condotta non in linea con ciò che è adeguato, è nostro dovere in quanto adulti: è nostro compito, infatti, trasmettergli delle regole e degli standard di comportamento per consentirgli di muoversi rispettosamente nella società civile, dove la libertà mia finisce dove comincia quella dell’altro, avrebbe detto qualcuno. Talune volte, la nostra idea di comportamento adeguato è però basata su aspettative nostre, che non sono in linea con ciò che è normale aspettarsi da un bambino per l’età che ha. Un esempio per tutti: pensare che un bambino piccolo se ne stia tranquillo al tavolo mentre noi consumiamo una lunga cena in un ristorante sa tanto di irrealistico, a maggior ragione se non ci si attrezza con un po’ di giochini per tenerlo impegnato. Prima di rimproverare, dunque, chiediamoci sempre se effettivamente stiamo tenendo conto dell’età del bambino e della situazione in cui si trova. In secondo luogo, soprattutto se il bambino finisce per inciampare sempre nello stesso errore, chiediamoci cosa gli impedisce di agire diversamente. Nessun bambino è mai contento di essere rimproverato dalle persone a cui tiene e, anche quando si arriva alla vera e propria oppositività, è importante dargli un significato, capire cosa il bambino ci vuole comunicare e perché non riesce a trovare una strada più funzionale per farci arrivare il suo messaggio. A volte ci si riesce da soli in questo lavoro di decifrazione, altre volte può essere utile richiedere una consulenza psico-educativa ad un esperto, per farsi aiutare nel tradurre un comportamento che sembra senza significato quando invece usa solo un linguaggio diverso dal nostro. In terzo luogo, rimproverare deve essere volto a far comprendere al bambino le conseguenze delle sue azioni, non come minaccia ma come vero e proprio insegnamento. E non di rado, per trasmetterlo, c’è bisogno di tornarci più volte sulla questione. Cerchiamo sempre di tenere una linea di distinzione tra il comportamento del bambino e la sua persona: il rimprovero deve essere rivolto al primo e mai alla seconda. Bisogna avere chiaro insomma che il nostro ruolo è di ammonire un comportamento e non demolire la persona umiliandola. Pensate a se vi capita mai, magari presi dall’esasperazione, di etichettare il bambino (ad esempio con espressioni del tipo “sei cattivo quando fai così” o “sei un buono a nulla”), o di mettere in discussione la bontà dei vostri sentimenti per lui (ad esempio “non ti voglio bene più” o “vai via, non ti voglio vedere più”). Ebbene, cancellate tutte queste affermazioni che fanno male all’autostima del bambino, oltre che la relazione con lui. Nel vostro caso specifico, che certamente non possiamo sviscerare qui viste le poche informazioni che abbiamo, può essere sicuramente utile parlare con il bambino delle sue reazioni, a freddo, aiutandolo a “tradurre” in parole ciò che sente quando viene rimproverato, rassicurandolo sul fatto che non è in gioco il vostro bene per lui ma che vi aspettate che impari a gestirsi meglio in alcune circostanze. Infine, motiviamo sempre le ragioni dei nostri rimproveri piuttosto che farli passare come esercizio di potere e basta, e cerchiamo di formularli in un linguaggio al positivo che, generalmente, attiva meno opposizione: “non urlare che il fratellino dorme” e “abbassa un po’ la voce, così il fratellino continua a riposare e noi abbiamo ancora un po’ di tempo per guardare la tv insieme” significano pressoché la stessa cosa, eppure rileggete queste affermazioni e noterete che hanno un diverso impatto emotivo. Su di noi, figuriamoci su un bambino!
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Dott.ssa Margherita Di Maio, psicologa-psicoterapeuta ad approccio umanistico e bioenergetico. Per info 331 7669068
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