Salve dottoresse, mi chimo E. sono un’infermiera, da un mese sto avendo frequenti attacchi di panico e ansia al risveglio. Non ce la faccio più, sento di impazzire.
Carissima E., le è mai accaduto prima d’ora? Cosa è cambiato nella sua vita un mese fa?
No, mai sofferto d’ansia prima d’ora. Io e mio marito abbiamo continuato a lavorare durante tutta la quarantena, entrambi facciamo lavori su turni. Io infermiera, lui poliziotto. Visto il pericolo dettato anche dai nostri lavori siamo stati costretti a mandare nostro figlio da alcuni parenti fuori Regione e purtroppo non lo vediamo da tempo. Nel mio reparto ci sono stati malati di Covid, ma non potevamo permetterci di restare a casa.
Un mese fa, all’incirca, ci è parso di poter tirare un respiro di sollievo. Non che l’emergenza fosse finita, non lo è neppure oggi che ci stiamo scrivendo, ma un barlume di speranza si è aperto. Potremmo dire che la sua ansia è cominciata con l’inizio della cosiddetta “Fase 2” . Statisticamente la maggior parte delle persone ha vissuto questo come un cambiamento nel cambiamento e, ogni trasformazione, porta con sè sempre un po’ di agitazione, se poi ha a che fare con il ritorno a quello che per due mesi è stato proibito perché pericoloso, va da sé che la paura non può mancare. Nel suo caso, cara E., che invece ha continuato a lavorare nonostante tutto, è possibile che un allentamento della tensione a livello sociale abbia favorito un allentamento anche di tutte quelle risorse interne a cui si è strenuamente aggrappata per mesi per poter continuare a lavorare. Quando ci troviamo in situazioni difficili in cui stress, paura e dolore sono gli ingredienti principali, l’inconscio si barrica per “non sentire”, si anestetizza. Pensiamo ai neurochirurghi o ai piloti di aereo. Se veramente avessero coscienza di ciò che stanno facendo a livello emotivo, non potrebbero fare ciò che fanno, per intenderci. E’ possibile che anche lei abbia soffocato alcune emozioni per continuare a lavorare.
Si ma a che prezzo? Io non voglio stare così.
Ha perfettamente ragione. E’ un meccanismo di difesa quello di cui sopra, utile se usato quando necessario e non per troppo tempo. Ma questa situazione d’emergenza ci ha messi a dura prova per parecchio. Il prezzo oggi è, ci passi l’immagine poco poetica ma che rende bene l’idea: un rigurgito emotivo. L’ansia le fa risalire in modo violento tutto quello che non ha avuto modo di ascoltare nei mesi precedenti: la paura per sé e per suo marito, il dolore di non poter vedere suo figlio, la frustrazione quando le cose non andavano bene.
Cosa posso fare? Io non voglio prendere farmaci.
I farmaci non sono la soluzione se presi senza il controllo di uno psichiatra e senza il parallelo supporto psicologico. Le consigliamo di rivolgersi ad uno specialista che saprà, dopo alcuni colloqui, stabilire con lei qual è la prassi migliore. Potrebbe darsi che basti la psicoterapia per gestire i sintomi e ritrovare uno stato di equilibrio. Potrebbe anche essere che, inizialmente, se il disturbo è grave o le impedisce di condurre la sua vita “normalmente”, sia necessario un supporto farmacologico. Non demonizziamo i farmaci, nessuno la addormenterà, non si preoccupi.
Va bene, proverò. Grazie.
No, grazie a lei. Come avrà potuto capire dalle nostre parole non è affatto pazza, ma la paura così come il dolore, hanno il potere di farci sentire “fuori di noi” e quindi “pazzi”.
In ogni caso siamo noi che la ringraziamo per quanto la vostra categoria ha fatto e continua a fare, ancor di più in questi mesi. Grazie lo diciamo noi, di cuore!
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