La ripartenza e lo “sbilanciamento” azienda-lavoratore: una scomoda riflessione

Negli ultimi mesi si parla molto di ripartenza dopo il covid: come farlo, quando farlo, con quali tempi, ecc. e allora anche io, nel mio piccolo e non essendo un economista e quindi non avendo la responsabilità di dover essere ascoltato necessariamente, voglio condividere con voi lettori, le mie considerazioni, che come ho scoperto l’altra settimana sono le stesse del noto economista francese Jean – Paul Fitoussi ascoltato durante una conferenza per radio.

La parola ripartenza il vocabolario la spiega come “ un punto dove si è arrivati e da dove ripartire” e da questo io vorrei iniziare: prima del covid l’economia di tutti gli stati era impostata sul concetto di globalizzazione che stava ad indicare una possibilità di commercio mondiale più semplice, più libero, con meno vincoli, meno tassazione, meno controlli alle frontiere proprio come nell’idea del liberismo, portato, però allo stato esasperato.

Tutto questo, però, pian piano si è trasformato negli anni arrivando, quasi senza accorgercene al punto che la finanza soprattutto quella speculativa delle borse, delle azioni e varie ha preso la supremazia sulla politica che non sembrava più in grado di controllare e governare non solo la finanza ma neanche l’economia reale, con la conseguenza che i vari governi dei vari stati e le strutture sovranazionali hanno messo in essere politiche di liberismo estremo che hanno portato a diverse crisi finanziare e a ridurre il potere d’acquisto e sociale della classe media, aumentando la disoccupazione in modo esponenziale.

La disoccupazione ha portato allo sbilanciamento della contrattazione tra azienda e lavoratore falsando i rapporti di potere e di forza che sono stati sostituiti da una frase che modulata e addolcita suona così: se ti va bene, altrimenti io ne trovo mille al tuo posto con la carenza di lavoro che abbiamo oggi”.Ecco che allora, non bisogna ripartire dal pre – covid ma da quel mondo economico, finanziario che è esistito perlomeno fino alla fine degli anni ’80, che ha garantito benessere ai lavoratori che con la loro busta paga potevano permettersi diverse spese, anche a rate, forse ma che facevano “girare il soldo” e una politica che poteva realmente incidere sul lavoro, formazione, salari e non limitarsi a centinaia di tavoli di crisi da aprire senza molte speranze, nonostante tutto l’impegno che mettono.

Oggi anche se sembra che sia tutto uguale in realtà il vento nuovo nella direzione auspicata da Fitoussi e (da me) arriva dagli Stati Uniti d’America dove il gigante MC’Donald ha deciso di aumentare il salario minimo orario del dieci per cento, come conseguenza di studi condotti che hanno evidenziato come un lavoratore economicamente soddisfatto e pagato il giusto si senta parte dell’azienda e produce di più e meglio.

Sempre negli States si è ormai diffuso un movimento che lotta per una giusta contrattazione e a quanto pare Biden non è sordo a questo discorso se è vero che ha presentato un disegno di legge approvato dalla Camera sul salario minio orario

Salvatore Foggiano

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