Il neonato che attende l’arrivo della madre mentre piange. Il bambino che, sull’uscio di casa, attende impaziente il rientro dei genitori da lavoro. L’adolescente che attende risposta a quell’invito ad uscire su cui ha tanto meditato prima di trovare il coraggio. Il ragazzo che attende il suo turno per sostenere l’esame che tanto lo angoscia. L’adulto che attende risposta ad un colloquio di lavoro o l’esito di un accertamento che lo tiene in agitazione. La coppia che attende si colori finalmente al test di gravidanza anche la seconda strisciolina rosa. La madre che attende di vedere per la prima volta il suo bambino. Il padre che attende di sapere che in sala parto tutto è andato per il verso giusto. I genitori che attendono il rientro del figlio dalla sua prima uscita serale. Il lavoratore che attende l’età pensionabile per godersi un po’ la vita. L’anziano che attende la fine dei suoi giorni. Insomma, buona parte del nostro tempo è attesa di qualcosa, da eventi all’ordine del giorno come la fila alla posta o il nostro turno dal medico, a momenti più significativi e cruciali nella crescita della persona come la laurea, il matrimonio, il primo contratto di lavoro e così via. Come l’attesa venga vissuta varia da persona a persona oltre che da evento ad evento. C’è, ad esempio, chi non riesce a tollerarla, nemmeno quando si va incontro a qualcosa di positivo. Persone tendenzialmente tranquille potrebbero riscoprirsi particolarmente vulnerabili in alcuni momenti della loro vita. Altre si contraddistinguono per la loro tendenza generale a rispondere in modo ansioso ad ogni circostanza della vita, anche quando non realmente minacciosa. Sfociamo in questo caso nel territorio dell’ansia, di “stato”, quando episodica e legata a specifiche situazioni, o di “tratto”, quando va a connotare la propria personalità in modo più generale. L’ansia induce a focalizzarsi su tutto ciò che di negativo potrebbe accadere e tali preoccupazioni finiscono per rendere sempre più spaventoso ciò a cui ci si avvicina, al punto da non godersi pienamente quell’evento o attivare addirittura una spinta all’evitamento. Figlia dell’ansia è infatti la tendenza a procrastinare, cioè a rimandare qualcosa che ci crea tensione: strategia controproducente dato che, in primis, in questo modo l’evento finisce per assumere connotati sempre più spaventosi, e poi che ciò da cui veramente stiamo scappando non è l’evento in sé ma i timori e le insicurezze che potrebbe attivarci. Parliamo in questo caso del procrastinatore “preoccupato”, bloccato nell’azione da paure irrazionali, in antitesi a quello “rilassato”, che intraprende con slancio attività nuove mentre tende a rimandare quelle abitudinarie. Chi soffre fortemente d’ansia vive in uno stato di trepidante attesa di un futuro pieno di pericoli: è la sensazione che accompagna il panico, o che può svegliarci dal sonno profondo alle tre di notte in uno stato di allerta e con la tachicardia. Si può perdere di vista il contatto con il presente, essendo completamente assorti nelle pre-occupazioni rispetto a ciò che avverrà. Recuperare la capacità di stare nel presente, proprio questa è la sfida: spostare l’attenzione su pensieri più positivi, tollerare le emozioni del qui ed ora piuttosto che lasciarsi spaventare da un futuro imprevedibile, imparare a riconoscere i differenti segnali del nostro corpo senza etichettarli immediatamente come minacciosi. Questi sono alcuni degli aspetti su cui si incentra il lavoro psicoterapeutico con chi soffre d’ansia. Imparando a gestirli meglio, i tempi di attesa possono diventare un’occasione per prendere contatto con noi stessi e anche per coccolarci un po’, in una vita che ci vuole sempre di corsa, talvolta senza neanche sapere fino in fondo verso quale traguardo.
Dott.ssa Margherita Di Maio, psicologa ad approccio umanistico e bioenergetico. Per info 331 7669068
Dott.ssa Anna Romano, psicologa-psicoterapeuta dell’età evolutiva. Per info 349 6538043