ORTORESSIA: QUANDO MANGIARE SANO DIVENTA UN’OSSESSIONE!

La sempre maggiore consapevolezza degli effetti negativi di una cattiva alimentazione sulla nostra salute ha incentivato, in molti di noi, un nuovo approccio al cibo. I reparti bio nei supermercati si allargano sempre di più, i carrelli della spesa sono spesso pieni di prodotti sani e dalla provenienza certificata, le etichette sulle confezioni attirano finalmente l’attenzione di qualcuno e non solo per la data di scadenza. Bene, certamente, che si stia sviluppando un atteggiamento maggiormente attento verso queste questioni: per chi ci legge sarà oramai chiaro l’enorme valore che, in quanto psicologhe ma anche persone, attribuiamo a concetti come prevenzione e consapevolezza ad ampio raggio. Eppure, in alcuni casi, anche il mangiare sano può smettere di fare bene: ciò accade quando questo proposito diviene una vera e propria ossessione. Nel 1997 Steven Bratman conia il termine Ortoressia, derivante dal greco Orthos (giusto) e Orexis (appetito), per indicare tale disturbo psicologico, connotato dai seguenti comportamenti tipici: dedicare più di tre ore al giorno a pensare al cibo, scegliendoli più secondo il criterio dei benefici sulla salute che per il gusto; sensi di colpa in caso di deviazioni dalla dieta abituale;  il sentirsi padroni di se stessi solo se si mangia nel modo considerato giusto. Secondo i dati diffusi dal Ministero Italiano della Salute per i disturbi alimentari, le persone con tale disturbo sarebbero 300 mila in Italia (a fronte di tre milioni di pazienti con disturbi alimentari), ed esso riguarderebbe principalmente gli uomini rispetto alle donne (11.3% vs 3.9%) (Donini e coll. 2004). L’impatto sulla vita sociale di chi ne è affetto è notevole se si considera che molti momenti di convivialità si consumano proprio intorno ad una tavola imbandita o consumando un caffè al bar. Anche un altro aspetto influisce a questo riguardo: il fanatismo alimentare, basato spesso tra l’altro più sul “sentito dire” che su una reale informazione, favorisce un atteggiamento di disprezzo verso coloro che approcciano il cibo con maggiore libertà, interferendo inevitabilmente con il piacere di stare con gli altri.

La complessità di tale disturbo, in cui si intrecciano fattori emotivi, fisici e comportamentali, rende necessario per il suo trattamento un approccio multidisciplinare in cui la persona possa essere presa in carico, spesso coinvolgendo anche la famiglia, sia in un lavoro volto a ritornare ad una ricca e variegata alimentazione che a prendere contatto con le emozioni che sottendono il bisogno di controllo che il paziente mette in atto su e attraverso il cibo.

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