Parla un prete: “Migranti? Offese  da chi frequenta la chiesa”

“Migranti? Non ho nulla da aggiungere rispetto alla linea dettata e condivisa col nostro arcivescovo. Una linea chiara, netta, decisa, inequivocabile. Se cercate un condimento morboso alla tematica, non lo troverete sicuramente qui”. L’esordio non è decisamente dei migliori: quando siamo andati nel “ventre” delle chiese della costiera sorrentina, per capire di più sulla questione “migranti”, abbiamo trovato – per lo più – sacerdoti e fedeli particolarmente abbottonati. Tra questi, un prete che, dopo un’iniziale diffidenza, comunque ha accettato un confronto informale sulla questione.

 

Padre, siamo qui solo per capirne di più, raccogliendo testimonianze anche in maniera anonima…
“La questione non è l’anonimato o meno, perché la faccia ce la mettiamo tutti i giorni, dai pulpiti di un altare a quando ci sporchiamo le mani in prima linea e in prima persona”.

E qual è la questione?
“La questione è che c’è poco da aggiungere.  La posizione della nostra Chiesa è chiara: è nei Vangeli. Abbiamo avuto necessità di chiarirla solo perché alcuni contenitori vomitavano, e forse continuano a vomitare, una violenza dialettica non propriamente allineata alla tradizione cristiana di questo territorio”.

Tradizione cristiana e violenza dialettica, come convivono?
“Infatti, non convivono e non possono convivere. Si può avere una visione critica rispetto ai sistemi di accoglienza, si possono sollevare dubbi, si può tranquillamente aprire un dibattito sulle soluzioni da adottare e sulle contromisure per estirpare alla radice certi fenomeni. Ma l’atteggiamento di un cristiano non può trasformarsi in una sindrome del terrore dell’uomo nero. Lo ripeto: è una tematica delicata, si possono nutrire dei dubbi, ma l’approccio non può essere quella di alzare un muro, prima mentale e poi fisico, ma sempre di tendere una mano”.

Non sono razzista ma…
“Sì, la questione è sostanzialmente quella.  E’ nel “ma”. Nei “ma” che, talune volte, finiscono per infangare la dignità dell’essere umano. Qui non si tratta di fare demagogia: comprendo le frustrazioni di un periodo di recessione economica, capisco le eccezioni legate a sistemi di accoglienza non sempre efficaci, e nessuno può rassicurare sull’assenza di criticità future, ma proprio non si possono accettare cattiverie gratuite nei confronti di chi, comunque, proviene da zone di guerra o da aree particolarmente disagiate”.

Qualcuno dice: perché non li portate a casa vostra?
“Finora, le ipotesi di accoglienza sembrano ricondurre tutte a beni e immobili della Chiesa”.

Altri sostengono: lo fate solo perché vi interessano i soldi del bando.
“Chi lo dice ha evidentemente poca cognizione della questione”.

Prima gli italiani…: è un’altra argomentazione che viene spesso citata.
“Per piacere, non mi porti su strade che non mi competono. Rispondo con un esempio: la mensa Caritas, aperta a tutti”.

 Dalle sue parole, traspare comunque tanta amarezza.
“Direi delusione, che deve generare una riflessione sul mio e sul nostro essere preti”.

In che senso?
“Nel senso che molti attori di questo calderone dai toni sprezzanti, alimentato sul web, sono persone che orbitano nelle nostre comunità, e che sono spesso in prima linea negli eventi religiosi. Più che prendermela con loro, me la prendo con me stesso, incapace di trasmettere il messaggio giusto. Faccio un po’ di sana autocritica”.

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