Preferirei di no!

“Preferiremmo di no” è la frase con cui il protagonista del racconto di Herman Melville, Bartleby lo scrivano, risponde ad ogni domanda di qualsiasi interlocutore, forse anche a quelle che pone a sé stesso.
Da giorni se ne sta in piedi, immobile a guardare il muro sul quale affaccia la finestra dello studio legale dove lavora come copista, e nessuno ne conosce il motivo. All’improvviso smette di lavorare senza dare spiegazioni. Il suo non è un rifiuto netto ma piuttosto una preferenza.
Molti critici ci avvertono di quanto sia difficile svelare la vera natura di Bartleby.
La sensazione è che ci sia qualcosa che sfugge e che continuerà a sfuggire quasi che il personaggio stesso preferisse non essere inquadrato in nessun genere. Lo scrivano appare come un naufrago, senza un passato e privo di futuro. Il suo salvagente è la frase che continua a ripetere come un mantra “preferisco di no”.
È all’avvocato che Melville affida il ruolo di narratore, cauta e senza ambizione appare la vita dell’avvocato, volta alla sola sopravvivenza, scelta che caratterizza anche gli altri personaggi: Turkey efficiente fino a mezzogiorno e Nippers, che si impegna nel pomeriggio, infine vi è il fattorino Ginger Nut il quale assolve il compito di rifornire gli altri di biscotti allo zenzero. Dunque né l’avvocato né i collaboratori hanno un vero nome in quanto questi sono tutti nomignoli, quasi ad indicare che nella loro vita non avesse importanza.
Ed ecco allora che appare il protagonista e c’è quella strada Wall street, destinata a diventare il centro del capitalismo mondiale, metafora di quel muro fissato dallo scrivano immobile dietro la finestra. È presente nel racconto una radicale critica della società americana del XIX secolo, tuttavia ciò non basta a definire la complessità del personaggio.
Bartleby agisce poco e parla ancora meno, la sua è una esistenza letteraria grigia, confrontandosi con lui bisogna fare i conti con la sua scelta di essere irragionevole, egli stesso afferma che “preferirebbe non essere ragionevole”. Bartleby ci ricorda di tutte quelle volte che avremmo preferito di no e invece abbiamo detto sì, ma anche di quelle nelle quali è successo il contrario. Ricorda al lettore quanto possano essere distanti inostri desideri, volontà e i sogni da ciò che la vita ci propone o impone. Un’ esistenza che può essere tollerata ma non vissuta è quella che Bartleby ha scelto per se stesso.

Le parole dell’avvocato che concludono il racconto suonano come una epigrafe con cui Bartleby congeda i suoi fantasmi: “Ah, Bartleby! Ah Umanità!”.

Antonio Di Martino

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