Prima di cominciare la lettura di questo articolo proviamo a fare una riflessione su noi stessi ponendoci alcune domande: ci è mai capitato di dire ad un bambino, figlio, nipote o alunno che sia, di “non piangere!”? Magari con i maschietti facendo leva sulla motivazione che “piangere è da femminucce!”. O di provare a rincuorare un amico o parente in lacrime dicendogli che “piangere non serve a niente!”?Le nostre esperienze lavorative ci portano a pensare che questo accada piuttosto frequentemente. Ce ne rendiamo conto quando la persona che si siede nella poltrona di fronte alla nostra ci chiede “scusa” nel momento in cui le viene da piangere. Lo cogliamo nello sguardo attònito con cui alcuni ci guardano quando diciamo che possono piangere se sentono di farlo mentre gli passiamo un fazzoletto. Sul tavolino tra le due poltrone nel nostro studio c’è sempre, tra penne, fogli e caramelle, anche un pacco di kleenex: ci teniamo che ai pazienti passi che la nostra stanza è un luogo in cui poter mostrare autenticamente i propri sentimenti, anche e soprattutto il dolore. Se ci soffermiamo un attimino sulla questione ci rendiamo conto di quanto siamo una specie complicata noi esseri umani: la nostra natura ci mette a disposizione uno strumento per lenire il dolore e noi invece, più o meno consapevolmente, cerchiamo di controllarlo, castigando uno dei nostri istinti. Perché vengono giù le lacrime quando soffriamo? Che il dolore sia fisico oppure emotivo, perché dopo aver dato libero sfogo al pianto, per chi se lo concede, poi ci si sente meglio? Nell’atto del piangere vengono sprigionati alcuni ormoni: adrenalina e noradrenalina, che permettono di rilassarci, e l’ossitocina, che dà equilibrio al nostro stato d’animo donandoci un senso di tranquillità. Vengono inoltre espulse sostanze come la prolattina che accumuliamo quando viviamo uno stato di stress. Proprio il fattore ormonale spiega in parte perché noi donne piangiamo più degli uomini: alcune ricerche rilevano infatti che in media il sesso femminile piange circa 47 volte l’anno a fronte delle 7 dei maschietti! Ma a pesare maggiormente su questa differenza è l’aspetto socio-culturale che tende molto a castrare gli uomini da questo punto di vista, etichettando il pianto, soprattutto in pubblico, come un segno di debolezza. Insomma piangere è una normale reazione fisiologica del nostro corpo con un’importantissima funzione: reagire e in qualche modo metabolizzare una forte emozione. Spesso invece un’educazione repressiva finisce per avere la meglio sull’istinto, privandoci in questo modo di un’importante risorsa. Incoraggiamo i bambini a prendere contatto con le proprie emozioni, anche con il dolore. Lasciamo intatto in loro l’istinto del pianto accompagnandoli nella comprensione di quello che sentono. E’ standogli accanto in questi momenti, e non negandoli, che possiamo aiutarli a trovare strade per esprimere al meglio le proprie emozioni. E’ tranquillizzandoli con la nostra presenza in queste occasioni che possiamo nutrire la loro capacità di tollerare e gestire il dolore nelle sue forme di espressione piuttosto che rifuggirne.
Dott.ssa Margherita Di Maio, psicologa ad approccio umanistico e bioenergetico. Per info 331 7669068
Dott.ssa Anna Romano, psicologa-psicoterapeuta dell’età evolutiva. Per info 349 6538043